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ENCICLOPEDIA / COCKTAILS

Piccola enciclopedia dei COCKTAILS

« Liscio o con ghiaccio? ». Quante volte vi sarà capitato di rivolgervi a un vostro ospite, ponendogli questa domanda, nell’ offrirgli un Whisky o un Brandy o qualche altra bevanda alcoolica ! È certamente la richiesta più abituale quando invitate gli amici a prendere un drink da voi, ma è forse anche la più banale; infatti, se voi foste dei padroni di casa con un po’ di fantasia, potreste proporre: « Vuoi un daisy, un collin, un pousse café, un cobbler o uno short drink?». Buona parte dei vostri ospiti resterebbe sicuramente stupita da questo vostro linguaggio da perfetto barman, ma soprattutto gradirebbe moltissimo uno di questi drinks che anche in casa (e non soltanto al bar) si possono preparare senza difficoltà.

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L’importante è imparare le ricette giuste per realizzarli e organizzare un piccolo bar casalingo con tutto ciò che occorre per far concorrenza anche al più abile barman (e ci scusino questi « professionisti dello shaker », se una volta tanto proveremo a sostituirci a loro, tra le pareti della nostra casa!).

Questo nostro piccolo manuale (che non ha certo la pretesa di voler competere con quelli scritti da chi ne sa certamente più di noi in materia, anche se noi abbiamo avuto la preziosa collaborazione di Gino Marcialis, uno dei più noti barmen italiani, pluripremiato a Saint-Vincent, a San Remo e a Villa d’Este per le sue creazioni) vuole appunto essere una guida utile per tutti coloro, signori e signore, che vogliono cominciare a cimentarsi nella arte dei « miscugli » o arricchire il loro bagaglio di conoscenze. Questi miscugli, oggi, vengono generalmente chiamati « cocktails » con un termine anglo-americano.

Tradotto letteralmente, questo termine significa coda (tail) di gallo (cock), ma, francamente, non si capisce bene quale attinenza possa avere con una bevanda alcoolica.
Alcune versioni vengono date sul significato della parola « cocktail ». Fanzini cita, ad esempio, la storia di un oste che, una volta, in seguito alla vittoria di un suo « gallo da combattimento », servì agli amici un miscuglio alcoolico che prese, per la circostanza, il nome della parte più vistosa dell’animale e cioè la « coda del gallo ».

Più recentemente si è trovato un altro significato etimologico: pare che intorno al 1793 vivesse a Nuova Orleans una certa Antoinette Peychaud, di origine francese, che vendeva nella sua drogheria un intruglio amaro, molto alcoolico, al quale si attribuivano proprietà terapeutiche; questa bevanda veniva generalmente servita in una coppa che, per la sua particolare forma, era chiamata « coquetier »; i clienti che la volevano bere chiedevano, tout court, « un coquetier », allo stesso modo in cui noi diciamo « un bicchiere », ma pronunciando la parola un po’ abbreviata, cosicché risultava « coc-ktay » e da qui potrebbe derivare, per una facile alterazione, « cocktail ».

Ma se vogliamo restare nell’ambito delle « credenze » o delle « leggende », vai la pena raccontare anche quella che attribuisce la paternità del cocktail a un personaggio della letteratura, certo Floressas Des Esseintes, discendente da una famiglia carica di nobiltà e di gloria. Negli ultimi anni della sua vita egli si ritirò in una casa di campagna le cui finestre erano vetri di acquari e le cui pareti erano rivestite di seta e di quadri preziosi.

Dedicandosi alle letture e ad altri piaceri della vita, anche leggermente perversi, Des Esseintes, che amava bere e annusare profumi violenti, aveva costruito uno strano « marchingegno »: nella sua sala da pranzo aveva allineato, su delle mensole di legno di sandalo, una serie di piccole botti piene di liquori, molto ravvicinate l’una all’altra e munite, nella parte bassa, di un rubinetto d’argento. Egli chiamava questa fila di barilotti di liquori il suo « organo a bocca ».

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Con un meccanismo speciale poteva aprire contemporaneamente i rubinetti, in modo che questi, tutti insieme, emettessero i liquidi che andavano a riempire dei piccoli bicchieri posti sotto ad ogni rubinetto. Questi ultimi erano etichettati con il nome di uno strumento musicale (corno, flauto, clarinetto, ecc.) e quando Des Esseintes beveva, un po’ qui un po’ là, il liquido dei diversi bicchieri, asseriva di provare lo stesso godimento che avrebbe provato ascoltando una sinfonia musicale.

Secondo lui, infatti, ogni liquore corrispondeva al suono di uno strumento (per esempio il Whisky e il Gin a un trombone, il Kirsch a una trombetta, il Curacao a un clarinetto e così via!). Volendo accettare queste curiose similitudini, bisogna ammettere che nessun’altra è più divertente e più rappresentativa dell’immagine odierna del cocktail, il quale altro non è se non una fusione di sapori e di liquori che, armonizzati sapientemente, danno vita a una piccola « sinfonia alcoolica ».

Comunque, a parte le leggende e i personaggi della fantasia, il nostro invito è questo: prendete il vostro shaker e create il vostro cocktail, attenendovi alle ricette classiche studiate e dosate dai barmen di tutto il mondo, o più semplicemente cimentandovi in quelle che noi vi proponiamo.

In ogni caso, dedicandovi a questa « alchimia » mondana e inoffensiva, cioè preparando qualcuno dei nostri « filtri » magici, non potrete che divertirvi ! Per farlo non occorrono … alambicchi e provette, ma più semplicemente bicchieri, bottiglie e qualche arnese del mestiere, senza i quali è impossibile affrontare qualsiasi esperimento. Perché un bar, anche se modesto, anche se piccolo e casalingo, è una cosa seria e come tale va organizzata.

E saper fare il barman, anche a livello domestico (poiché è proprio a questa categoria di persone che noi ci rivolgiamo), è un’arte che si impara con il tempo e con l’esperienza e (noi ci auguriamo) anche seguendo i nostri consigli. ” Le ricette di Walpi ”

GLI ATTREZZI DEL MESTIERE

Sia ben chiaro che avere in casa un certo numero di bottiglie e di bicchieri, uno shaker,   un cavatappi     o   un secchiello per il ghiaccio   non vuoi dire certo avere un bar.

Ci sono numerosi altri piccoli accessori necessari perché un bar sia degno di tale nome. Cominciamo dai più semplici e banali (ma anche più utili): l’apribottiglie per i tappi a capsula ed eventualmente un cavatappi per quelle bottiglie ancora dotate di tappi di sughero (ma oggi sono poche, poiché i produttori di liquori hanno adottato il sistema dei tappi a vite, assai più pratici e rapidi da levare).

Seguono: i cucchiaini a manico lungo e tre o quattro asticelle di plastica per miscelare i liquori nel mixing-glass (i cucchiaini devono essere in metallo e le asticelle in plastica).

Utilissimo, poi, anche il cucchiaio con coppetta bucherellata per sollevare i cubetti di ghiaccio (si può usare anche al posto della classica pinza).

Indispensabile il bicchierone miscelatore, detto mixing-glass, dove vengono preparati moltissimi cocktails. Il mixing, poi, non può far a meno di « coesistere » con il colino (o strainer) poiché quasi tutte le bevande preparate nel bicchiere miscelatore vanno poi filtrate attraverso il colino che trattiene il ghiaccio. Questo « attrezzo » deve essere preferibilmente in metallo e circondato da una spirale che si inserisca perfettamente sul bicchiere, affinchè non scivoli via nel momento in cui si sta versando il drink.

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La scelta dello shaker non è così semplice come può sembrare. Esistono due tipi di shaker classici: il primo è quello in tre pezzi, con bicchiere di metallo o di vetro, tappo a pressione dotato di placca bucherellata attraverso la quale si filtra il miscuglio e tappo di chiusura da applicare prima di scuotere lo shaker.

A questo proposito vi ricordiamo un particolare estremamente importante: quando chiudete lo shaker, non mettete mai i due tappi contemporaneamente (cioè già inseriti uno nell’altro, come accade nella maggior parte dei casi), ma prima quello bucherellato, poi quello intero.

Nella prima ipotesi, infatti, l’aria contenuta nello shaker verrebbe « compressa » all’interno nel momento della chiusura e, di conseguenza, durante lo scuotimento farebbe schizzare fuori parte del liquido.

Applicando invece prima il tappo bucherellato e poi quello intero, l’aria fuoriesce in gran parte e non si verifica alcun inconveniente.

Il secondo tipo di shaker è più professionale, ma anche più valido; è composto da due sole parti: un grande bicchiere di vetro e uno di metallo. Nel primo si mettono gli ingredienti per il drink e il secondo serve come coperchio che si incastra nell’altro.

A cocktail preparato, per togliere il bicchiere superiore si da un piccolo colpo maestro sull’orlo del tavolo, in corrispondenza della parte sporgente del recipiente di metallo, e si stacca quest’ultimo senza difficoltà.
Questo shaker è adatto per preparare cocktail per più persone, mentre l’altro tipo serve al massimo per due o tre porzioni.

Per completare il nostro piccolo bar avremo bisogno inoltre di: un secchiello per il ghiaccio (assai pratici sono quelli termici, dove i cubetti si mantengono per lungo tempo); un utensile taglia-scorze per gli agrumi; due o tre coltellini molto affilati; uno spremiagrumi (meglio non elettrico); una tavoletta di legno per tagliare gli agrumi e la frutta di stagione a fette o a spicchi; una forchettina a due punte per tenere fermi i frutti mentre si tagliano; tutta una serie di spiedini in metallo o in plastica o in legno per infilzare olive o ciliegine o altre guarnizioni da inserire nei drinks (a proposito di ciliegine, vi ricordiamo che, nelle « convenzioni » dei bar-men, la ciliegina infilzata sullo spiedino può essere mangiata mentre si beve il drink, mentre quella immersa nel bicchiere va gustata solo dopo aver bevuto, altrimenti potrebbe alterare il gusto della mistura).

Sono poi consigliabili: una bottiglietta con tappo distributore di gocce o spruzzi, una grattugina per la noce moscata, una zuccheriera, un bricchetto piccolo per succo di agrumi, una serie di cannucce, un bicchierino dosatore in vetro o in metallo per misurare i vari liquori.

A proposito dì « misure » vorremmo fare una piccola parentesi e una precisazione. Noi siamo partiti dal presupposto che il bicchiere dosatore non sempre rientri tra gli attrezzi abituali di un piccolo bar e soprattutto che un barman inesperto non sia in grado di interpretare perfettamente i dosaggi degli ingredienti indicati in certi ricettari di cocktails, espressi così: 1/2, 1/3, 1/4, 1/6, 1/12; oppure 70%, 20%, 10%; perciò abbiamo voluto apportare un’innovazione e darvi i quantitativi in cucchiai o in cucchiaini, che certamente non mancano in nessuna casa.

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Ogni cucchiaio corrisponde all’incirca a 10 g, ogni cucchiaino (da tè) a circa 3 g. Poiché i cocktails più o meno classici sono di solito composti da un quantitativo di alcool variante fra i 40 e i 60 g di ingredienti alcoolici, potrete notare che le nostre ricette indicano 4 o 6 cucchiai di liquido (quelli non alcoolici sono calcolati a parte).

La nostra « unità di misura » in cucchiai va interpretata all’incirca così: 1 cucchiaio = 1/6; un cucchiaio e mezzo = 1/4; 2 cucchiai — 1/3; 3 cucchiai = 1/2; 4 cucchiai = 2/3; 4 cucchiai e mezzo = 3/4.

Naturalmente tale dosaggio va inteso per una persona, perciò se dovete preparare un cocktail per un maggior numero di persone dovrete moltiplicare anche quello dei cucchiai.

Ed ora, pensiamo, potrete obiettare che è scomodo misurare tanti cucchiai; perciò abbiamo pensato di darvi una seconda « unità di misura » che corrisponde a circa 50 g di liquido, ovvero cinque cucchiai: ed è il bicchiere da vino bianco (un po’ più piccolo di quello da vino rosso).

Di conseguenza 1/2 bicchiere corrisponde a 25 g, 1/3 a 17 g circa, 1/4 a 12 g circa. A questo punto non vi sarà difficile regolarvi. Per quanto riguarda i bicchieri, pensiamo che le fotografie pubblicate alla pagina precedente parlino ancora più chiaro di noi, poiché in esse potete vedere i bicchieri classici per tutti i tipi di cocktails che vi presentiamo in questo volume.

LE «BOTTIGLIE» INDISPENSABILI PER UN « PICCOLO BAR »

È ovvio che per cominciare a fare qualche « miscuglio » bisogna avere a disposizione, oltre agli accessori indicati, anche la « materia » prima, ovvero i liquori, gli sciroppi, le acque gassate. Vi forniamo quindi un elenco delle bottiglie « indispensabili » e di quelle che in seguito potrete aggiungere per completare il vostro bar.

1) Dry Gin; 2) Canadian Whisky; 3) Scotch Whisky; 4) Bourbon Whisky; 5) Vodka; 6) Brandy; 7) Rum Chiaro (cubano); 8) Rum Scuro (giamaicano); 9) Bitter Campari; 10) Vermouth Rosso (Cinzano); 11) Vermouth Bianco Dry (Martini); 12) Blue Curacao; 13) Angostura; 14) Granatina; 15) la serie degli sciroppi; Lampone, Cedrata, Orzata; 16) la gamma « gassata » delle Schweppes: Soda, Ginger Ale, Tonic water, Bitter Lemon, Bitter Grange, Dry Pompelmo, Gassosa.

In un secondo tempo, potrete aggiungere: Crema Cacao, Galliano, Mandarinetto, Amaretto di Saranno, Aurum, Pernod, sciroppo di zucchero, Spumante, qualche acquavite di frutta (Kirsch), Porto. Naturalmente, quando si parla di liquori e compagni, si intende che devono essere, di rigore, delle migliori marche.

Diffidate quindi dalle marche poco conosciute, che potrebbero darvi dei risultati scadenti. Inoltre, noterete che nelle nostre ricette più volte abbiamo specificato noi stessi la marca da usare; ciò significa che quel determinato cocktail « riesce bene » con quella determinata qualità di Whisky, di Brandy, di Bitter.

Facciamo un esempio pratico: se abbiamo indicato il Blue Curacao Bols è perché, tra tutti i tipi di Blue Curacao esistenti, quello è il meno dolce e pertanto il suo sapore è quello « giusto » per il drink in questione. Oppure: un Negroni è un Negroni solo se fatto col Bitter Campari ! E lo stesso discorso vale per tanti altri cocktails

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