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Cucina naturale,  Formaggi

Formaggi sardi a pasta dura e tenera

Dopo la viticoltura, la pastorizia è certamente per la Sardegna la più grande risorsa agricola.
Il latte si ricava soprattutto dagli ovini e dai caprini.
Gli abili pastori producono formaggi freschi e stagionati, salati o acidi, ma pur sempre di grande personalità.

da la cucina sarda Alessandro Molinari Pradelli Newton & Compton editori

Bonassai

Formaggio di recente produzione, ottenuto dal latte di pecora, intero. La trasformazione coagulante viene provocata dall’aggiunta di caglio bovino.
Anche l’aspetto del formaggio è del tutto particolare, quadrato e con lo scalzo (spessore, altezza) arrotondato e schiacciato.
Il bonassai è formaggio a pasta molle, pressoché compatta e bianca; il sapore delicato e pastoso rivela un retrogusto dal sentore acido. Il suo consumo è prevalentemente orientato verso la tavola, dove il bonassai partecipa a piatti misti di formaggi o anche servito come antipasto.

Brozzu (ricotta)

Dopo la lavorazione necessaria per ottenere il formaggio si ricava il siero; questo, riscaldato, si solidifica in tanti frammenti più o meno grandi; una volta raccolti con un colino o una schiumarola si versano entro stampi di terracotta, di ginestra o di vimini, di metallo, di plastica forellata e si confezionano piccoli formaggi, naturalmente assai magri.
Al siero rimasto s’aggiunge del sale fine, poco latte acido e, dopo qualche tempo, affiora (viene a galla) la ricotta.

Calcagno

Si ottiene da latte intero di pecora, coagulato con caglio di capretto, oppure (in proporzioni variate) di capretto e di agnello.
La crosta, piuttosto consistente, si presenta bianca, con tendenza al giallo paglierino.

La pasta è compatta e soda – in quanto il calcagno subisce una lunga stagionatura (minimo 6 mesi) – con sapore caratteristico, profumato e qua­si aromatico, discretamente piccante.

Il consumo varia a seconda della stagionatura, andando in tavola sia a fette che, a disposizione, accompagnato dalla classica grattugia.

Canestraio

Con questa dizione si intende il formaggio raccolto nei tipici canestri di vimini (la crosta risulterà ondulata e rigata), ormai quasi un’esclusiva produ­zione isolana: come il crotonese, il pepato, il foggiano, il calcagno, il bianco.

Caprino

Formaggio ricavato dalla lavorazione del latte intero di capra, coagulato con caglio liquido.

La pasta è bianca, molle ma compatta, con fine ed impercettibile occhia­tura; il profumo si rivela caratteristico, come il sapore acidulo e leggermen-te piccante.

Se ne fabbricano a pasta semicotta, a pasta molle e a pasta dura; differen­do tra loro nel tipo di lavorazione, nel profumo e nel sapore ottenuti; nella disponibilità al consumo, da tavola (tagliato) o da grattugia (dopo i 6 mesi di stagionatura).

Cas ‘i acca (casu ‘e acca)

È il formaggio ricavato da latte di vacca; il più diffuso nella regione. La produzione più rinomata è quella di Orgosolo.

Il formaggio si presenta a pasta bianca, leggermente paglierino, cremoso e compatto.

Lo si consuma dopo pochi giorni di stagionatura, preferendolo fresco.

Casu marzu (casu becciu o casu gompagadu)

Formaggio stramaturo, ossia cacio vecchio o cacio marcio. Il più delle vol­te si aprono le forme del fiore sardo – lasciato per circa un anno, in cantine buie e fresche, a prolungata fermentazione – e queste pullulano di piccole larve. Il sapore è forte, piccante e per i grandi cultori qualcosa di sublime, inimitabile, da non perdere.

Attenzione, però, che esageratamente vecchio, s’è dimostrato persine ve­lenoso.

I cultori di questa specialità usano ammorbidire la pasta interna forando la crosta con un piccolo trivello, quindi vi versano un goccio di olio e ri­chiudono con il medesimo tassello appena scavato. Così, la pasta, col tem­po, si fa morbida, quasi burrosa.

È capitato anche a noi l’assaggio, in una cantina sotterranea; forse la scar­sa luce ha giocato a mio favore. Io le larve non le ho viste, ma credo di averle sentite, una volta che ho ingollato una scheggia di formaggio.

Anch’io sono tra coloro che spenderebbero elogi smisurati. È stata un’e­sperienza indimenticabile, per la nobiltà raccolta del sapore e del profumo del casu marzu, gustato al massimo del piacere, con un calice di Vernaccia abboccata: sublime.

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Crema

Essendo la crema la parte più grassa del latte, nel mondo caseario può considerarsi il sinonimo di panna.

Oggi molti caseifici tendono a preparare formaggi cremosi, da spalmare, utilizzando, secondo il caso, le materie prime del pecorino sardo, del peco­rino romano, della ricotta.

Queste creme, dal gusto sfumato che varia dal dolce al piccante, annove­rano una celebrità, rinomata per il profumo e il sapore leggermente acidu­lo: stiamo parlando della crema del Gerrei, aromatizzata con formaggio se­micotto caprino.

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Crotonese

Lo dice la dizione, questo formaggio nasce, per tradizione, in Calabria, più esattamente a Crotone. Là è quasi scomparsa la pastorizia, mentre qui il latte è ottimo e abbondante; ecco perché in Sardegna da sempre si pro­duce questo pecorino tipico, confezionato in forme che raggiungono i kg 2, di colore bruno chiaro. Dal latte ovino intero si ottiene una pasta media­mente compatta, a fine tessitura bianca, con riflessi paglierini chiari.

Il Crotonese gode grande fama, per il piacevole e graditissimo gusto tenden­te al piccante, procurato dall’uso del caglio ovino, ideale quello di capretto.

Comporta media stagionatura: qualche mese.

Dolce sardo

Dal latte vaccino, coagulato con caglio di vitello, s’ottiene questo rinoma­to formaggio, a pasta mediamente molle, piuttosto bianca e compatta. La crosta, di colore paglierino chiaro, si presenta solitamente morbida.

Il formaggio dolce sardo si consuma fresco.

Famosa la produzione del dolce di Macomer o del Tirso.

Feta

Qui, nell’isola, si produce anche questo formaggio, specialità della Grecia

Con latte di pecora si ottiene una pasta cruda che viene salata ed è pronta al consumo dopo appena un mese di stagionatura. La feta ha pasta bianca, compatta, sapida; ideale per fresche insalate.

Fiore sardo

Ovvero il pecorino sardo.

Si ottiene con la lavorazione del latte di pecora intero, coagulato con ca­glio di capretto o di agnello. La pasta cruda viene messa negli stampi e subito dopo una breve permanenza in salamoia, subisce leggere e continue frizioni con sale, a secco. Così la pasta resta bianca, compatta, con imper­cettibili occhiature e sapore piccante.

Quindi le forme passano all’asciugatura, nei pressi del fumo dei camini e alla stagionatura, su tavole di legno, per un minimo di 6 mesi; tanto che la crosta tende a colorarsi, con sfumature che variano dal giallo intenso fino al bruno scuro.

Il consumo del fiore sardo varia, dall’affettato alla griglia, arrostito sulle braci; per finire, stravecchio, complice della raspa (grattugia), per accom­pagnare primi piatti o confezionarne di tipici, come minestre e paste (squi­sito sugli gnocchetti o sui ravioli).

Indispensabile, dimenticavamo, per il pesto o salsa al pesto.

Se invecchiato, molto invecchiato, assume il piccante, forte e deciso.

Fresa

Con il latte vaccino, di bestiame al pascolo brado, si produce questo for­maggio tipico; variante nel peso dal kg ai 3 kg. Data la morbidezza e la pastosità ricorda, vagamente, il quartirolo (stracchino) lombardo, pur dif­ferendo nel metodo della fabbricazione.

La fresa che gode maggior fama è quella prodotta nel versante occidenta­le del Màrghine; particolarmente rinomata è quella dei pastori di Ozieri, detta da atunza (di lavorazione autunnale), gustata fresca, sia cruda che cotta.

In altre zone dell’isola per la fresa adoperano latte caprino da solo, oppu­re mescolato, in proporzioni assai varie, con latte vaccino.

Chiaro che il profumo e il sapore di quelle frese differisce e non poco.

Consigliamo di consumarlo per merende, oppure nel vassoio dei formaggi vari che presenterete per antipasto o per chiusura, caso mai sposandolo a miele, sapa, frutta caramellata e quant’altro.

Fresco

È una particolare lavorazione delle materie prime solitamente utilizzate per i formaggi fiore e il pecorino; con la pasta non salata, semilavorata e

umida, tanto da trattenere i batteri necessari per una seconda ripresa della lavorazione e predisporre la filatura.

Secondo tradizione, i pastori si dedicavano a questa produzione soprattut­to nei giorni precedenti la festa, per impiegarlo nella confezione di primi piatti, ma soprattutto di dolci.

Frue (vrue)

È una curiosità pastorale, che oggi appare sempre più spesso nei contesti di feste e sagre.

Perché la produzione di questo latte cagliato è giunta fino a noi solo come abitudine alimentare della campagna, degli addetti.

Il nome vrue sta a indicare il contenitore di sughero in cui il latte di capra o di pecora, anticamente, veniva cagliato. Appena si raggiunge il punto ottimale d’acidità e di consistenza (sono necessari almeno 2 giorni) si con­suma.

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Gioddu (cioddu)

Latte vaccino, ovino o caprino concentrato a fuoco diretto o adoperando pietre roventi, appena scaldate nel braciere degli spiedi, coagulato con fer­menti particolari; molto più gustoso dello yogurt.

Per preparare il gioddu i pastori, secondo una antica cronaca, prendono del pane, lo tagliano a fette, lo immergono nel latte e ve lo lasciano finché questo inacidisce. Allora si cola e si mescola con altro latte precedente­mente scaldato. Da questa mescolanza si ottiene il fermento (la màtrica) del gioddu. Ora si bolle il latte gettando entro la caldaia di rame quindici o venti sassi roventi, velocemente lavati in acqua pura. Appena il latte è tie­pido si versa in una mastella e vi si unisce la màtrica. Mescolate bene. Se il tempo è propizio e caldo, con la mastella ben coperta, dopo appena un’ora il gioddu è fatto, da consumarsi sia caldo che freddo.

I pastori lo consumano tra loro, insieme, servendosi di cucchiai di corno.

Rinomata la produzione di Ozieri e di Tempio Pausania.

Gioghittos de casu

Piccoli formaggi dalle sembianze più disparate, come l’uomo o la donna, cavalli, galletti, gatti, cani, fiori e frutti, modellati per gioco da regalare ai più piccini. Si confezionano con la pasta tenera avanzata nella foggiatura dei formaggi più grandi.

Merca

Nel latte appena munto si versa il caglio (a discrezione) e si mescola di continuo e molto lentamente. Dopo circa 30 minuti lasciatelo riposare, fer­mo; e aspettate che raggiunga la compattezza da poterlo affettare.

Dopo averlo affettato, rituffatelo nel siero e lasciatelo ancora almeno un’ora. Togliete le fette e ponetele ad asciugare disposte sopra un asse, salatele da un lato; poi, una volta rigirate, salate dall’altro.

Dopo circa una settimana di asciugatura, le fette di merco, (specialità delle campagne nuoresi) sono pronte per passare in salamoia e venir conservate a lungo.

Pecorino tipo romano

Si lavora soltanto latte di pecora, raccolto la sera e la mattina. Appena il latte è caldo, s’aggiunge il caglio di agnello e dopo circa 10 minuti la caglia­ta è sufficientemente dura. Questa si taglia con particolari attrezzi della grossezza di chicchi di granturco; quindi si lascia riposare e si aumenta la fiamma e si porta la cottura a circa 44°. La massa, raccolta in teli, si divide in forme di circa 18-20 kg, poi si contiene nelle fascere, dove riposerà per almeno 15 giorni, subendo ogni giorno frizioni di sale da un lato, il dì ap­presso dall’altro.

Aperte le fascere il formaggio si lava in salamoia, poi si ritorna a salare e a rivoltare, una volta la settimana.

Dopo 3 mesi è pronto per il consumo; vecchio di 6 mesi si presta alla grattugia, per la classica nevicata: sublime sui piatti a pasta lunga (fettucci-ne e spaghetti) e corta (conchiglie e gnocchetti), oppure con vivande da passare in forno, alla gratinatura.

Questo formaggio è a pasta dura, bianca (appena tendente al paglierino chiaro) e compatta, tipicamente profumata e piccante.

Anche la crosta naturalmente è bianca; ma alcune lavorazioni prevedono una colorazione scura, con vernici alimentari.

Zona di produzione da preferire è soprattutto Santulussurgiu; ma ottimi pe­corini si ricavano dai pastori di Buddasò, Thiesi, Villanova Monteleone e Nule.

Da anni questo formaggio gode della tutela del disciplinare di produzio­ne, esattamente come il fratello laziale.

Pecorino sardo

Ovvero fiore sardo; vedi sopra.

Ha recentemente ottenuto il riconoscimento della D.O.C, (denominazio­ne di origine controllata).

La pasta, di colore leggermente paglierino, si presenta, giovane, piacevol­mente dolce; e anche dopo una prolungata stagionatura conserva nel retro­gusto il dolce, pur assumendo il più caratteristico piccante.

È il formaggio pecorino più gradito dal consumatore, essendo adatto sia da tavola che da grattugia (raspa). Lo si cucina anche arrostito sulle bra­ci.

Pecorino semicotto

Sta a indicare il pecorino così detto crotonese.

Pepato

Durante la coagulazione del latte di pecora (unito al caglio di capretto), si aggiunge pepe nero in grani, per profumare e caricare di piccante la pa­sta.

Il pepato ha crosta di colore bruno chiaro, mentre la pasta dura, appena decorata da impercettibili occhiature, è bianca, con sfumature giallo paglie­rino.

Riposerà per circa 6 mesi, prima di venir immesso sul mercato, come specialità sia da tavola che da grattugia.

Provolette (perette, pireddas, pirittas)

Specialità di Thiesi; questo formaggio pieno di sapore viene preparato con latte vaccino e caglio di vitello.

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La pasta è filata, d’un giallo chiaro, così la crosta. Inizialmente il sapore è dolce e profumato, poi, col tempo, si fa piccante. La tradizione suggerisce di confezionare questi formaggi a forma di pera; ma oggi, purtroppo si pre­ferisce sempre più la treccia. Generalmente non superano i 300 g.

Sono gustosi e ricercati formaggi da tavola; ottimi se arrostiti sulla gri­glia.

Provolone

Con latte vaccino, coagulato da caglio di vitello, si produce il provolone. Questo formaggio grasso ha forma che varia dal cilindro alla pera, con cro­sta spessa, di colore giallo. La pasta lavorata per filatura è compatta e dura; nei primi mesi di stagionatura si presenta chiara, raramente occhiata e dol­ce, ma col tempo, dopo prolungata stagionatura, cambia e assume il pic­cante.

Fresco, il provolone si consuma a tavola, affettato o a spicchi; stagionato, è più adatto alla grattugia.

Variante

In alcuni casi si produce provolone affumicato, più saporito e piccante.

Ricotta

II siero, sottoprodotto della lavorazione dei formaggi a base di latte di pecora, una volta ricotto, ben presto affiora, venendo a galla con fiocchi bianchi, granulosi, grassi. Si mette negli appositi contenitori forati o la si lascia sgocciolare.

La ricotta si consuma fresca, detta gentile, ma anche di una settimana (da tavola); in alcuni casi si stagiona fino a poterla consumare ottimamente con la grattugia.

Assai rara e squisita, perché più cremosa e profumata, è quella ottenuta dal latte caprino.

Variante

Dopo 3 settimane di asciugatura, la ricotta si affumica leggermente; così da ottenere una specialità deliziosa, da presentare in tavola.

Ricotta infornata

Pur essendo una specialità diffusa soprattutto in Sicilia, la ricotta inforna­ta è prodotta tradizionalmente anche qui in Sardegna.

Dopo aver lasciato le ricotte ad asciugare per alcuni giorni, si salano e si passano al forno. La crosta si colora di bruno, la pasta leggermente di pa­glierino chiaro; certo è che il profumo, tipico, ricorderà il cotto.

Se consumate la ricotta appena tolta dal forno la pasta si presenta morbi­da; se invece passerà alla stagionatura, allora solitamente si consuma grat­tugiata, per la classica nevicata che ricopre minestre o piatti di pasta.

Ricotta salata

Si produce recuperando il siero della lavorazione del latte di pecora.

Questa ricotta, secondo tradizione, si sala per agevolarne la conservazio­ne, mutandone chiaramente il sapore originario.

La pasta è asciutta e compatta, pur conservando la caratteristica originale struttura friabile e granulosa. È una specialità di Santu Lussurgiu e Iglesias: a pasta bianca, profumata.

Varianti

Nei tipi forte, dolce e affumicata.

Toscanello

Non è altro che un formaggio pecorino, prodotto con latte intero di peco­ra e conseguente coagulazione con caglio di vitello. A forma cilindrica, con lo scalzo (spessore) appena arrotondato, questo formaggio viene confezio­nato in forme alte circa 10 cm e larghe circa 25 cm. La crosta si presenta bianca, anche se in alcuni casi si usa colorarla di marrone, con vernici ali­mentari antimuffa.

La pasta è morbida, compatta, salata e, secondo la stagionatura, piccante: di color paglierino chiaro. All’assaggio, risulta personale e tipico il profu­mo del latte ovino.

Il toscanello non si stagiona troppo a lungo; anzi, si preferisce consumarlo mediamente giovane, come formaggio da tavola.

Viscido

La prima lavorazione è identica a quella della merca, con il latte appena munto unito al caglio e mescolato molto lentamente. Lasciate riposare, deve raggiungere la consistenza necessaria per essere tagliato a fette. A questo punto si aggiunge il siero acido messo da parte il giorno prima e lo si lascia fino a che non è uscito dalle fette e si è separato; così le fette hanno preso un buon grado di acidità e rassodato la pasta. Togliete le fette e disponetele sulle tavole, perché asciughino e perdano anche l’ultimo sie­ro rimasto. Dopo averle irrorate di sale fine, lasciatele riposare un giorno, quindi giratele e fate la medesima operazione sull’altro lato. Il dì appresso lavate il viscidu nell’acqua e mettetene le fette nella salamoia, con un peso sopra perché rimangano a fondo.

Questo “formaggio” viene usato per preparare primi piatti come minestre e minestroni di verdura, paste farcite ed altro ancora.

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