I Formaggi produzione e classificazione
I FORMAGGI
Dal latte, oltre allo yogourt, al burro e alla panna (o crema,) di cui abbiamo già parlato, derivano altri due importantissimi alimenti: la ricotta (il “cibo dei pastori”) e i formaggi.
Entrambi questi alimenti hanno origini antichissime, e facevano comunemente parte dell’alimentazione quotidiana delle più remote popolazioni mediterranee, e non solo mediterranee: ma è in Italia, e più tardi in Francia, che i formaggi, lavorati con tecniche complesse e talvolta raffinatissime, si sono diversificati in un infinito ventaglio di varietà spesso diversissime l’una dall’altra, in grado di soddisfare ogni esigenza del palato.
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COME SI FABBRICANO
La lavorazione, o fabbricazione del formaggio consta di due fasi distinte. La prima è uguale per tutti i formaggi e, praticamente, per tutti i tipi di latte, e consiste nella formazione di una massa solida, detta “cagliata”, separata poi dal latte con opportuni trattamenti.
La cagliata si forma nel latte sia per l’azione specifica del “caglio” (una sostanza ricavata dallo stomaco di vitellini lattanti, e, a volte, anche di agnellini), sia per l’azione di sostanze acide.
Il caglio è presente nello stomaco di tutti i lattanti (anche di quelli appartenenti alla razza umana), ed ha la funzione di coagulare la caseina del latte, trasformandola, appunto, in “cagliata”, che, nello stomaco, viene poi digerita dai succhi gastrici.
Il caglio, invece, manca nello stomaco degli adulti, dove invece la cagliata è ottenuta appunto per mezzo dell’acidità fornita dall’acido cloridrico, secreto dallo stomaco stesso. Il componente del latte che si trasforma in cagliata è, come abbiamo già prima accennato, la sua frazione proteica, ed in particolare la caseina, che rappresenta l’85% delle proteine del latte.
Si noti che, per ottenere una buona “cagliata”, il caglio deve essere utilizzato in dosi precise, ed occorre quindi conoscerne il “titolo”, o “forza coagulante”; il titolo si esprime in centimetri cubici di latte coagulabili con 1 centimetro cubico di caglio. La soluzione liquida di caglio normalmente utilizzata nei caseifici ha il titolo di 1:10.000: ciò significa che un centimetro cubico di questo caglio coagula, alla temperatura di 40°, 10.000 centimetri cubici (cioè, 10 litri) di latte in 40 minuti.
Esistono anche vari tipi di caglio in polvere, che possono essere trasportati, conservati e distribuiti più comodamente: prima dell’uso, però, devono essere sciolti in acqua. Il loro titolo va normalmente da un minimo di 1:25.000 ad un massimo di 1:100.000.
La cagliatura del latte può avvenire anche spontaneamente, quando il latte diventa acido a causa della fermentazione del lattosio, che si trasforma appunto in acido lattico. I microrganismi che provocano questa fermentazione sono molto simili a quelli che producono lo yogourt. Un elemento minerale importantissimo affinchè possa aver luogo la cagliatura è il calcio, e ciò spiega perché questo minerale sia tanto abbondante nel latte.
Per inciso, si noti che, come il calcio è indispensabile perché avvenga la coagulazione della caseina, del pari è indispensabile perché anche il sangue possa coagulare. Industrialmente, la preparazione della cagliata viene effettuata su latte non omogeneizzato; infatti, l’omogeneizzazione modifica lo stato di combinazione del calcio nel latte stesso, e poiché il calcio è indispensabile per la coagulazione della caseina (come s’è detto) nello stato in cui si trova nel latte fresco, il latte non omogeneizzato è quello che meglio si presta alla formazione della cagliata.
Talvolta, per accelerare la formazione della cagliata si ricorre anche ad un inacidimento parziale del latte, ottenuto aggiungendovi dello yogourt. Come tutti gli enzimi, o fermenti, anche il caglio necessita, per essere attivo, di determinate temperature. Occorre perciò riscaldare preventivamente il latte a circa 38°, introdurvi il caglio, e quindi, una volta che il coagulo ha cominciato a formarsi, riscaldare ulteriormente la massa, portandola a circa 42°.
Industrialmente, tutta questa operazione viene effettuata per mezzo di speciali caldaie. La cagliata cosi formatasi è composta dalla caseina (le altre proteine del latte, la lattalbumina e la lattoglobulina, non entrano a far parte della cagliata), dal grasso del latte, da una certa quantità di lattosio (parte del lattosio fermenta, e si trasforma in acido lattico), dai minerali (particolarmente, il calcio e il ferro) e da parte delle vitamine.
Una volta formatasi la cagliata, si procede alla sua separazione dal liquido residuo, la si lava e la si conserva a bassa temperatura (o la si sala), in attesa di passare alla fase successiva, ossia di procedere alla sua trasformazione in formaggio. Il liquido residuo, detto “siero”, ha un colore verdognolo; contiene ancora la lattalbumina e la lattoglobulina (in piccola quantità, che queste proteine rappresentano solo il 15% delle proteine del latte), residui di lattosio, di sali minerali, di vitamine; talvolta, può contenere anche residui di caseina e di grassi sfuggiti nella formazione della cagliata.
Il siero, di sapore tenue e acidulo, può anche essere bevuto, ma facendo bene attenzione a non berne troppo, perché ha un effetto alquanto lassativo. Se la cagliata è stata ottenuta anche con l’aggiunta di yogourt, il siero risulta ricco di fermenti lattici, e può essere una bevanda utile ai colitici. In ogni caso, deve essere conservato in frigorifero, e per breve tempo.
Il siero è anche largamente utilizzato per la preparazione di mangimi animali. Ottenuta così la cagliata, occorre passare alla fase successiva, quella che porta alla produzione dei diversi tipi di formaggio.
La cagliata viene quindi variamente lavorata, a seconda del tipo di formaggio che si desidera ottenere; i trattamenti a cui viene sottoposta (complessivamente detti “maturazione”) possono consistere in riscaldamenti a temperature variabili in caldaia, in eventuali stufature, in pressature, nella salatura, e così via. La cagliata subisce quindi numerose e varie trasformazioni di natura fisica, chimica e biologica, che ne mutano sensibilmente le caratteristiche organolettiche (sapore, odore e consistenza) e permettono di produrre i vari tipi di formaggi.
Come abbiamo detto, la cagliata, appena ottenuta, è costituita principalmente da acqua, caseina, grasso e lattosio: nel processo di maturazione, vengono appunto trasformati perché tutti, per il solo fatto d’essere formaggi, sono fermentati.
Il motivo per cui la fermentazione lattica è una parte molto importante della maturazione è che essa conferisce al formaggio, a maturazione avvenuta, molte delle sue caratteristiche. Infatti, l’acidità causata dalla formazione di acido lattico influisce sull’attività dei vari microrganismi che partecipano alla maturazione; inoltre, la fermentazione lattica provoca, in certi formaggi, la comparsa, in breve tempo, di un sapore acidulo, e conferisce loro un’elevato grado di spalmabilità.
Questa fermentazione è importantissima anche per la fabbricazione di quei formaggi che sono detti “a pasta filata” (come la mozzarella, la scamorza, il caciocavallo, il provolone, eoe.), perché la cagliata acquista la poprietà d’essere filabile a caldo solo quando in essa abbia avuto luogo una sufficiente fermentazione lattica. Anche nella produzione della fontina, delle robiole, del taleggio, del gorgonzola e del grana la fermentazione lattica riveste una notevole importanza.
In alcuni casi, alla fermentazione lattica si fa seguire la “fermentazione propionica”. Questo tipo di fermentazione da luogo alla formazione di acido propionico, di natura gassosa. Questo gas, liberandosi nella massa della cagliata, provoca in essa la formazione di “bolle” che, trattenute dalla densità del formaggio, si trasformano poi in “fori”. Si ottiene così la produzione di formaggi tipo groviera o emmenthal.
Anche le proteine subiscono notevoli trasformazioni. La scissione delle proteine (detta “proteolisi”) può essere più o meno spinta, e da luogo alla formazione di “peptoni” (prodotti costituiti da più aminoacidi, ovvero frammenti di proteine) o addirittura di aminoacidi liberi. Ricordiamo che gli aminoacidi sono i “mattoni” che costituiscono le proteine. Gli aminoacidi, a loro volta, vanno incontro ad ulteriori trasformazioni, dando luogo alla formazione di altri acidi, dotati di odori particolari.
Questa, ad esempio, è l’origine del particolare aroma del gorgonzola. La maturazione interessa anche i grassi, pur se la loro scissione (detta “lipolisi”) è in genere alquanto limitata e dipende in gran parte dalla natura del caglio. Infatti il caglio di vitello (detto appunto “caglio dolce”) non ha praticamente alcuna azione sui grassi, mentre i cagli di agnelli o di capretti contengono particolari enzimi (le “lipasi”) che scompongono i grassi, dando luogo alla formazione di acidi gassosi (o volatili) che conferiscono ai formaggi aromi particolari.
I diversi tipi di maturazione sono accuratamente regolati da tecniche precise, che portano ciascuna alla fabbricazione di un diverso tipo di formaggio. E poiché piccole modificazioni del processo di maturazione danno luogo a risultati diversi, la quantità di differenti tipi di formaggio che è possibile fabbricare è teoricamente elevatissima.
Teoricamente, si capisce, perché alcuni di questi formaggi potranno essere troppo acidi, altri troppo duri, altri ancora dotati di un odore sgradevole, cosicché non tutti i formaggi ottenibili avranno una utilizzazione pratica. Si noti che il processo di maturazione non è dissimile da quello che le proteine, i grassi e gli zuccheri subiscono nell’apparato digerente; pertanto, la maturazione della cagliata può essere considerata, a tutti gli effetti, come una predigestione.
Infine, dopo la maturazione, il formaggio ottenuto può essere sottoposto ad ulteriori lavorazioni, sempre che non si tratti di formaggi cosiddetti “freschi” (come la mozzarella), che devono essere consumati entro breve tempo dalla loro fabbricazione. Una delle lavorazioni più comuni è la “stagionatura” in ambienti adatti e particolarmente asciutti, con la quale, oltre a lasciare che nel formaggio continuino ad aver luogo i mutamenti che ne accrescono il sapore e l’aroma, si cerca di “asciugare” il formaggio, ovvero di far evaporare parte dell’acqua che ancora contiene.
Poiché, ovviamente, l’evaporazione avviene a spese soprattutto dello strato più esterno, si forma una crosta dura ed impermeabile che protegge l’interno da una evaporazione, e quindi da un indurimento, eccessivi. Se tale crosta non è sufficientemente impermeabile, potrà poi esser ricoperta da uno strato ceroso (come avviene con l’edam, o formaggio olandese), o comunque grasso.
Un’altra lavorazione molto diffusa è la “affumicatura”, a cui vengono sottoposti alcuni formaggi freschi (per esempio, la provola), che ha anch’essa lo scopo di formare uno strato, 0 “guscio”, esterno molto asciutto, che protegga la “polpa” interna da un’eccessiva perdita d’umidità.
La resa in formaggio per ogni ettolitro di latte è in genere di 12-15 chilogrammi se si tratta di formaggi freschi o poco stagionati, mentre scende a soli 7-10 chilogrammi se si tratta di formaggi stagionati.
CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI ITALIANI
I formaggi possono essere crudi, semicotti (38°-48°) o cotti (48°-58°); per ognuno di questi tre tipi, si può avere un’acidità naturale o di fermentazione.
La maturazione, infine, può essere; -extra-rapida-, avviene in 48-72 ore;
- rapidissima: entro circa 15 giorni;
- rapida: attorno ai 30-40 giorni;
- media: maturazione di durata inferiore a 6 mesi;
- lenta: maturazione inferiore a un anno;
- lentissima: maturazione superiore a un anno.
CLASSIFICAZIONE DEI FORMAGGI ITALIANI | ||
Tipi |
Acidità |
Maturazione |
Crudi |
naturale di fermentazione |
extra-rapida rapidissima rapida media lenta |
extra-rapida rapida media | ||
Semlcottl |
naturale di fermentazione |
media lenta |
lenta | ||
Cotti |
naturale di fermentazione |
extra-rapida media lenta |
lentissima |
Osservando la tabella qui sopra si tenga presente che quando parliamo di “acidità naturale” intendiamo l’acidità che si sviluppa nel latte per fermentazione naturale, e non provocata: quindi, si tratta pur sempre di formaggi fermentati.
Tra i formaggi è d’uso includere il mascarpone, il quale, tuttavia, ha caratteristiche proprie, che poco hanno a che vedere con quelle dei formaggi veri e propri. Anzitutto, il mascarpone non si ottiene dalla fermentazione della caseina, ma dalla panna, o crema del latte; in secondo luogo, il mascarpone è ricchissimo di grassi (47%, contro un massimo del 35,5% degli altri formaggi) ed è invece povero di proteine (7,6%, contro un minimo del 16,9% riscontrato negli altri tipi di formaggio).
Il mascarpone, quindi, è piuttosto da considerare un formaggio “speciale”, apparentato con i cosiddetti “formaggi alla crema” piuttosto che con i formaggi veri e propri, derivanti dalla coagulazione della caseina.
In Italia, la legge vieta la produzione di formaggi magri, a meno che non si tratti di prodotti dietetici, per motivi che in verità ci sfuggono, dato che la produzione di tale tipo di formaggi è ammessa in tutti gli altri Paesi, anche in quelli che, come la Francia, hanno un’industria casearia non meno importante e non meno fiorente della nostra.
Un altro posto “a parte” è riservato ai formaggi fusi, meglio noti ai consumatori come “fonnaggini”. Questo tipo di formaggio nacque inizialmente al fine di utilizzare i formaggi di scarto, che, cotti a 75°-85° e addizionati di varie sostanze, diventavano gradevoli e utilizzabili.
Le sostanze aggiunte ai formaggi fusi sono soprattutto citrati e polifosfati: a proposito di questi ultimi, Ve stata, tempo addietro, una vivace polemica, poiché parte dei nutrizionisti li riteneva pericolosi per la salute. La questione fu poi risolta stabilendo una quantità massima di polifosfati che potevano essere aggiunti ai formaggi fusi, e obbligano i produttori ad annotare sulla confezione “contiene polifosfati”, in modo che gli acquirenti li consumassero a proprio rischio e pericolo.
Oggi i formaggini vengono prodotti appositamente, e non più per utilizzare i formaggi scadenti; oltre alla varietà normale, ne esiste una varietà “meno grassa” (in Italia, come si è detto, è vietato usare la parola “magra”) che, in effetti, contiene una quantità molto contenuta di grasso, ovviamente rispetto agli altri formaggi, che ne sono molto ricchi.