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Dieta mediterranea,  Olio extravergine oliva

Olio extravergine di oliva – cenni di storia

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La scelta dell’olio

Il colore, l’aroma e il sapore dell’olio di oliva extravergine variano da regione a regione. La scelta del tipo di olio, a parità di qualità, dipende dai gusti del consumatore e dall’uso che si vuoi fare dell’olio. Per un acquisto personalizzato non c’è altro modo che provare più tipi di olio.

Articolo da Tutto sull’olio extravergine d’oliva

Giosuè Della Porta

La ricerca dì oli genuini potrebbe costituire il pretesto per una vacanza diversa e intelligente. Un viaggio lungo le vie dell’olio rivelerebbe aspetti interessanti del nostro Paese: paesaggi incantevoli, fuori dalle rotte consuete del turismo di massa, lo splendore della macchia mediterranea, antichi conventi, legati alla coltivazione dell’olivo nel territorio circostante, musei di storia contadina, antichi frantoi, in cui le fasi della produzione dell’olio sono scandite da ritmi rimasti immutati nel tempo, le delizie dì una gastronomìa legata alla cultura dell’olio di oliva e altro ancora.

“Andar per Frantoi e mercatini” è il titolo di una grande manifestazione che l’Associazione Nazionale Città dell’Olio indice già da alcuni armi per quanti amano l’olio d’oliva (per conoscere le Città dell’olio consultare la guida del Touring Club Italiano, intitolata appunto “le Città dell’olio”).

Per quelli cui non piace la proposta, l’alternativa è acquistare olì con marchio DOP di diversa provenienza, fino a incontrare l’olio rispondente ai propri gusti. E’chiaro, però, che un olio eccellente non può avere un costo inferiore a quello di produzione.

“Costa troppo?” scrive Edoardo Raspelli nel suo libro Italia Golosa edito da Mondadori “Io credo che dopo la strage del vino a metanolo dì vent ‘anni fa, il consumatore non debba più porsi questa domanda: piuttosto, al limite, condiamo le nostre insalate solo con succo di limone e aceto”.

Con molto ritardo rispetto ai vini, la denominazione d’origine si è ormai imposta anche per gli oli, rispondendo alla inderogabile necessità di proteggere l’indiscussa qualità del nostro prodotto insidiato dalla libera circolazione delle merci in ambito europeo.

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La coltivazione dell’olivo: intreccio di mito e storia

Si è sempre sostenuto che la coltivazione dell’olivo abbia avuto inizio nel quarto millennio a.C. per merito di popolazioni viventi nei tenitori ora occupati dalla Siria e della Palestina. Ma ora, a mio parere, ne abbiamo la certezza da quando negli anni Sessanta, a Tell Mardich, in Siria, una missione archeologica italiana ha riportato alla luce la città di Ebla, sulla cui localizzazione erano state avanzate le più disparate ipotesi.

Grazie al rinvenimento della biblioteca del Palazzo Reale, costituita da ben diciassettemila tavolette di argilla incise con caratteri cuneiformi (gli stessi in uso presso i Sumeri), oggi sappiamo che Ebla fu uno dei principali contri economici e culturali del vicino Oriente Antico, sin dal terzo millennio avanti Cristo.

L’interesse di Ebla ai fini della storia dell’olivo deriva dal fatto che essa, come risulta dalla documentazione epigrafica, praticava la viticoltura e, novità interessante, l’olivocoltura. Un riepilogo dei beni di pertinenza del Palazzo Reale enumera, tra altre cose, 5635 vasi di olio. Un altro documento elenca, tra i resti di magazzino, 129 giare di olio pregiato.

Che si tratti di olio prodotto in loco e non dì olio importato, lo confermano altri documenti in cui sono enumerate le piante di olivo presenti nel territorio di Ebla. Di notevole interesse è la presenza nell’ala di abitazione del Palazzo Reale di diverse stanze destinate alla preparazione del cibo, alla macinazione dei cereali, alla spremitura delle olive e alla cottura degli alimenti. Successivamente, la coltura dell’olivo si è diffusa nelle maggiori  isole greche (Creta, Cipro e Rodi).

Secondo la leggenda l’olivo fu piantato per la prima volta a Olimpia da Eracle, il mìtico eroe greco originario di Creta, A lui si deve anche l’istituzione dei giochi che presero il nome da quella città.

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La coltivazione dell’olivo fu per i Greci una scelta, in un certo senso obbligata poiché la loro terra, in prevalenza montuosa, si presta soprattutto alle cotture arboree: vite, olivo, castagni, fichi, mele, noci. A nord di Creta, nell’isola dì Santorino è stato ritrovato il più antico frantoio, in pietra lavica. Quest’isola, sede dal IV millennio a.C. della raffinata civiltà egeo-cretese, fu distrutta nei 2000 a.C. circa da un terremoto che la fece sprofondare in parte.

La successiva diffusione dell’olivo lungo le coste del mediterraneo avvenne per opera dei mercanti greci e fenici. Si ritiene che la coltura della pianta sul suolo italico risalga al sesto-settimo secolo a.C., a partire presumibilmente dalla Sicilia.

In epoca romana la coltivazione era estesa in tutto il Mediterraneo, Plinio il Vecchio, autore di una “Naturalìs Historia”citava già 15 varietà dì olive. La coltivazione della pianta a Roma ebbe inizio solo qualche tempo dopo la fondazione della città. In un primo tempo, i romani, impegnati in guerre dì espansione sul territorio italico, preferirono la coltivazioni» dei cereali alle più impegnative culture arboree, tra cui la più difficile di tutte è quella dell’olivo. Forse proprio per questa ragione l’olivo è diventato un simbolo di pace e di prosperità.

Con la caduta dell’impero romano e le invasioni barbartene la coltura dell’olivo e la produzione dell’olio subirono una battuta di arresto. I soli che continuarono a occuparsene fino a tutto il medioevo, per ottenere l’olio da impiegare nelle pratiche lìturgiche, furono i monaci, in particolare i Benedettini.

La Taggìasca, varietà di oliva tipica della riviera ligure di ponente, deve appunto la sua denominazione all’Abbazia di Taggia, dove i Benedettini iniziarono a coltivare l’olivo intorno al 1100. Un’altra testimonianza del legame tra i monasteri e la coltura dell’olivo in epoca medioevale è contenuta nella Leggenda perugina in cui sì fa menzione di un’usanza dell’abate di Monte Subasio di donare ogni anno a san Francesco, in visita al monastero, una giara d’olio.

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Solo dopo l’arme Mille gli oliveti cominciano di nuovo a proliferare in tutta la penisola, soprattutto in Toscana, La diffusione degli impianti e opera dei Genovesi e dei Veneziani. A questi ultimi, in particolare, sì deve il ritorno della coltura dell’olivo in Puglia, in Dalmazia e nelle isole del mediterraneo.

Materiali dì archivio testimoniano importanti traffici d’olio dai porti dell’Abruzzo Chietino verso Venezia e la costa dalmata, tra medio e basso medioevo. Da allora l’olivocoltura in Italia non ha più conosciuto soste. Adesso, il nostro Paese è ai primi posti nella classifica mondiale dei produttori di olio.

L’olivo era tenuto in grande considerazione dagli antichi abitanti del Mediterraneo. Nel “De rustica”, trattato dedicato all’agricoltura, Columella afferma che l’olivo è il più importante di tutti gli alberi (“olea prima omnium alborun est”).

L’affermazione non e esagerata considerati i molteplici usi cui il prodotto della pianta era destinato, tanto da fame un bene di scambio. Oltre che a scopi alimentari, l’olio d’oliva era impiegato per far luce, per ungere i corpi degli atleti e per preparare cosmetici e medicamenti, L’olio d’oliva, definito da Omero “oro liquido”, era considerato da Ippocrate, il famoso medico dell’antichità, un grande farmaco.

L’olivo era considerato albero sacro da tutte le antiche civiltà. In Egitto la sua sacralità è attestata da un papiro del XII secolo a.C, in cui si legge che il faraone Ramsete destina l’olio prodotto da un grande olivete nei pressi della città di Eliopoli alle lampade del santuario del dio Ra. ….

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