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Il Trinciante di M. Vincenzo Cervio

Quali sono quelli che si possono e si devono chiamare veri trincianti. Ogni gentiluomo o qual altro si voglia, che faccia una professione, deve sforzarsi con ogni suo potere di farla con la maggior riputazione che per lui si possa, perché non è dubbio alcuno che l’uomo non è onorato né riverito, se non quando con il mezzo delle sue virtù e buone creanze si fa onorare e riverire.

Però quello che vorrà servire in questo officio a qualche gran signore, deve con il suo puro e sincero giudizio cercare di appoggiarsi alla servitù di un principe giusto, nobile e da bene, e non ad uno ignobile, fallito e mal creato, perché da quello non potrà se non ricevere utile e onore e da questo danno e vergogna, sì come si potria mostrare con infiniti essempii accaduti al tempo nostro; e questa è la prima considerazione che deve avere quello che vuole servire in questo officio di trinciante.

Deve poi il vero trinciante (come ho detto) esser fidelissimo al suo signore e ponere diligenza in quello che tocca a lui: di avere gran cura della bocca sua26; e ogni volta che lui servirà alla tavola del suo signore, è debito suo di ponersi a fronte a lui, overo in capo della tavola, perché uno di questi due luochi si concede al trinciante per potere far fare la salva27 di tutte le vivande che saranno poste in tavola alla presenza del suo signore, il quale, essendo tu in altra parte, non ti potrebbe vedere.

Ma dico bene che, sendo la tavola impedita da qualche gran personaggio, che non potesti capire28 in uno delli due luoghi, che in questa occasione tu ti devi accommodare in altra parte, che non ti farà vergogna alcuna. Ma dirò bene poi, se il trinciante per l’ordinario si lasciarà condurre a trinciare lontano dalla vista del suo signore, che li farà gran vergogna e non sarà [degno] di avere il nome di trinciante.

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E lecito a uno degno di tal nome, servendo il suo signore, di farsi un piatto per la bocca sua di quelle vivande trinciate che vengono ad avanzare al servizio della tavola del suo signore; e quando a questo volesse contradirli il mastro di casa29, e ardisco di dire il signore proprio, egli non lo deve comportare, pregiudicando ciò alla riputazione e sufficienza del detto trinciante.

Procurarà adunque di farsi il suo piatto, come è onesto, se non per altro, almeno per non perdere questa preminenza30.
Perché, sì come al scalco è lecito di farsi serbare un piatto o due di quelle vivande che si levano da tavola del suo signore, per l’auttorità del suo officio, e parimente al coppiere di pigliarsi un fiaschette o due di vino di quello della bocca del suo signore, è parimente lecito e onesto che il trinciante, come uno delli tre principali della bocca, si facci il suo piatto prima che la robba si lievi da tavola.

E quando non lo facesse mai per altro, doveria farlo almeno per schiffare la lordezza di coloro che dispensano la robba, levata che sia della tavola del signore, la quale subito pongono in certi cadini31 di rame, onti32 di maniera che a pensarvi solamente, oltre il mesticare33 insieme una vivanda con l’altra, fa volger lo stomaco; la dividono poi tanto sporcamente, che Dio ne guardi ogni fidel cristiano. Sarà ragionevole adunque, per questo e altri rispetti, che il trinciante si facci il suo tondo prima che la robba vada nelle mani di questi tali.

Ma, per tornare dove lassai, dico che il vero trinciante sarà quello che trinciarà ogni cosa sopra la forcina alta dal piatto, che vulgarmente in Italia si suoi dire il trinciare in aria; e invero fra tutte le foggie di trinciare non si può trinciare nella più bella e gentile di questa, della quale intendo io di voler ragionare.

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Ma, sì come a quello che vorrà imparar di cavalcare bisogna che, montato che sarà sopra il cavallo, impari di saper star giusto sopra la sella, portar ben la vita34, tener ben le gambe e aver buon calcagno e bona mano per saper battere il cavallo a tempo col sperone e bacchetta, e altre cose, così è parimente necessario a quello che vorrà imparare di trinciare di saper prima come vanno fatte le forcine e cortelli, e di qual tempra, e come si nettano e se li da il filo, e come si tengano nelle mani, e come si deveno adoperare, e star iusto con la persona nell’adoperarli, e molte altre cose assai, le quali io ti mostrare, ciascuna al suo loco35.

26. della sua alimentazione, dei cibi a lui destinati.
27. la « salva » o « credenza » è il rituale assaggio pubblico, che assicura non esservi veleno nel cibo; cfr. anche più avanti le note 37 e 52.
28. trovar posto.
29. l’addetto al governo di tutti i servizi domestici.
30. privilegio, distinzione (rispetto agli altri servitori).
31. catini, conche.
32. unti, sudici.
33. mescolare.
34. tenere il busto eretto.
35. nei capitoli V-VII l’autore discute varie foggie di coltelli e di forcine, ne illustra la forma più acconcia e da istruzioni minuziose per costruirli, temprarli,
brunirli e affilarli « come rasori ».

-Capitolo IV. in GASTRONOMIA DEL RINASCIMENTO STRENNA UTET 1974

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