Sughera dono della natura
I TRONCHI MASSICCI, ORA AVVOLTI DALLA PREZIOSA SCORZA, ORA ILLUMINATI DALLE VIVACI TONALITÀ ROSSO-BRUNE, RACCONTANO STORIE ANTICHE, INTRINSECAMENTE LEGATE ALLA MEMORIA RURALE DEL TERRITORIO
TESTO E FOTO DI STEFANO VASCOTTO Rivista TREKKING & OUTDOOR
La cotenna dorata era un’attrazione per i ragazzi provati dalla dura giornata di lavoro e il profumo della carne de suproceddu risaliva su per il pendio dove gli ultimi operai stavano finendo di sistemare il sughero estratto. Il fumo profumato riempiva la stanza del momentaneo rifugio dei sugherai. Daniele, amico di tante avventure aveva preparato il vassoio, anche questo di sughero, per la preparazione finale del cibo. Il mirto, pianta soprattutto conosciuta per la produzione del famoso liquore, era la guarnitura aromatica del succoso pasto.
Tutto era pronto per una bella serata attorno al fuoco rimasto acceso per farci compagnia. Sembrava una festa ma era solo la conclusione della stagione di raccolta di una delle materie prime tra le più antiche conosciute dall’Uomo. Il “fochile” ora era diventato l’ancestrale attrazione dei commensali e l’acquavite stava eliminando qualunque timidezza nell’affrontare discussioni che in altri momenti di aggregazione sociale non avrebbero nemmeno un senso.
Nella notte ormai alta e stellata si udivano ancora poche voci, gli instancabili, quelli che volevano dedicare quelle ultime ore alle strette di mano con i loro amici che avrebbero rivisto solo l’anno dopo, quando la stagione di estrazione sarebbe rincominciata. I primi raggi di sole avevano raggiunto la mia tenda ma era già tardi e volevo incamminarmi al più presto tra quei sentieri. Il verde di quelle colline veniva interrotto solamente dal rosso bruno dei tronchi, la colorazione tipica assunta dopo l’asportazione della scorza, e questo mi faceva pensare che avrei rivisto un paesaggio diverso solo fra nove anni quando il grigio verde del sughero sarebbe ricomparso su quegli alberi.
La scorza, dalla consistenza spugnosa e dall’aspetto fessurato, è spessa circa 5 centi-metri e può essere rimossa da piante con almeno 15 – 20 anni di età. Era incredibile vedere quanto erano curati quei boschi. Un articolo di “Le Monde” paragonava l’estrazione del sughero ad una scultura talmente preciso è il taglio fatto dalle mani esperte dei sugherai. Un’ascia equivalente ad uno scalpello dello scultore: mi sembrava bellissimo.
Continuando nel mio solitario e silenzioso cammino ragionavo sul fatto che questa risorsa rinnovabile, in Sardegna, era conosciuta da sempre e che con ogni probabilità, già nella civiltà nuragica, si procedeva ad estrarla per la costruzione di alcuni manufatti che, ancora oggi, si ritrovano nella tradizione agropastorale di questa regione.
Per le sue proprietà galleggianti e isolanti il sughero veniva inoltre utilizzato per la costruzione delle navi dai Romani e dai Greci; mentre dal Cinquecento il suo impiego venne ampliato per la fabbricazione di turaccioli. Oggi, lontano da quei tempi, nelle strade che ora stavo percorrendo ci si arriva con grandi camion con rimorchio. Tutto va ricondotto al principio dell’economicità e soprattutto della qualità del prodotto.
Con un progetto di alcuni anni fa, finanziato con fondi dell’Unione Europea, si mirava allo sviluppo di produzione locale con la chiara convinzione di dover puntare alla qualità, soprattutto per contrastare l’ascesa del tappo sintetico che stava portando ad una crisi del settore sughero.
Circa 14 mila ettari di foreste sarde dovevano essere esaminate dall’ FSC (Forest Stewardship Council) che certifica i prodotti in legno provenienti da aree gestite in maniera corretta e responsabile e che devono seguire rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. Naturalmente questo avrebbe voluto dire che un prodotto certificato era anche privo di difetti e che poteva puntare alla conquista di grandi fette di mercato.
Dovevo rimanere attento agli incroci di queste carrarecce. Queste direttrici sono tante e mai costruite per portare ad una destinazione precisa. Esse servono a garantire una viabilità per il trasporto del sughero e si diramano su queste colline come fili di una ragnatela. Nonostante la mia conoscenza di questa parte di territorio, il bosco mi rendeva, a volte, ansioso. Sotto queste fitte chiome non si hanno punti di riferimento e tutto sembra somigliare a quanto visto magari un’ora prima.
Ogni tanto una piccola radura rubata al bosco indicava che l’uomo si era creato spazi per l’allevamento, mentre ampie ferite si intravedevano sui pendii scoscesi ricordandomi che anche il fuoco era passato da qui. La peculiare caratteristica di alta resistenza di questa specie arborea non aveva salvato alcune piante che avevano visto le fiamme quando il loro tronco non era protetto dalla robusta corteccia.
Ero quasi giunto al termine del mio itinerario e in lontananza presso il tempio punico romano di Antas, nell’omonima ampia vallata, c’erano i miei amici ad attendermi. Ai miei boschi, nella mia mente, un arrivederci. A presto.
La storia antica della sughereta di Niscemi
Siamo in Sicilia, non lontano da Gela e Caltanisetta e è un area naturale che consente di entrare in contatto con l’affascinante ambiente delle sugherete e di coglierne l’importante testimonianza storica e paesaggistica. Qui, un tempo, si trovava la più grande sughereta della Sicilia centrale che rappresentava una risorsa importantissima per gli abitanti del luogo, impegnati nella lavorazione del sughero e nella raccolta dei prodotti del bosco.
Assieme al vicino bosco di San Pietro, la sughereta di Niscemi, dava vita ad una realtà forestale unica. Oggi sopravvivono tenacemente diversi esemplari maestosi che superano i cinque metri di circonferenza e i quindici di altezza, regalando un carattere poetico e maestoso al paesaggio, nonostante la frequente minaccia della siccità e degli incendi.
Chi desidera scoprire in prima persona questo bosco antico avrà la possibilità di fare un’esperienza unica, un suggestivo viaggio nel passato per comprendere quale aspetto avessero i querceti in questi ambienti caldi e secchi di Sicilia. Oltre alla sughera si osservano lecci e roverelle, che convivono con l’ambiente tipico della macchia mediterranea, qui costituito da interessano associazioni vegetali di lentisco, carrube, olivastro, mirto, corbezzolo, fillirea e perfino la palma nana.
1° itinerario / Sicilia
In auto, A20 Palermo – Messina, svìncolo Santo Stefano di Camastra, segue bivio per Catania e per Marina. In treno. Stazione FS Palermo Centrale Stazione Santo Stefano di Camastra. Pulman di linea per Marina di Caronìa,
2° itinerario / Sardegna
SS131 Cagliari – Sassari. Da Sanlurl SS197 fino Guspìni, segue SS126 fino a Fluminimaggiore, parcheggiare all’altezza del ponte sul lago Corsi
3° itinerario/Toscana
in auto, A12 Rosignano Marittime, SS1 Aurelia, uscita Rispescia, proseguire per Alberese. In treno. Stazione FS Grosseto, poi bus dì lìnea.
1° itinerario / Sicilia
Nebrodi, il bosco a quercia di Gussone
Località di partenza Marina di Caronia
Località di arrivo Portella dell’Obolo
Difficoltà E
Dislivello > 1200 metri
Tempo di percorrenza 3.30 ore in mountain-bike
L’itinerario, da effettuare in mountain bike, riguarda un percorso che da Marina di Caronia giunge a Portella dell’Obolo, snodandosi sulle pendici settentrionali del sistema orografico. Domenico Cacioppo del Laboratorio del Camminare Terre del Gattopardo ci racconta che, nel complesso, si tratta di una vera traversata – da suddividere anche in più escursioni – lungo un profilo ideale che interessa le diverse fasce di vegetazione, tra cui la presenza di sugherete, sviluppate sui substrati silico-arenacei del versante tirrenico dei Nebrodi.
Descrizione: dalla SS 113 Messina – Palermo, in prossimità di Marina di Caronia si imbocca a sinistra la SS 168.
La strada si fa subito tortuosa, venendo caratterizzata da diversi tornanti che portano all’abitato di Caronia (m 302); da qui è possibile apprezzare splendidi panorami sulla valle e sulla linea di costa; a ridosso del mare si inseriscono i vecchi borghi marinari di Torre del Lauro, Marina di Caronia, la strada si inerpica ulteriormente lungo il crinale che domina l’ampia vallata sottostante.
Il paesaggio diviene sempre più aspro, dominato da espressioni forestali naturali, e soltanto in pochi ambiti, laddove la morfologia lo consente, si sviluppano i coltivi. Lembi di sughereto si alternano a boscaglie ed arbusteti vari, recando talora i segni degli incendi.
Al di sopra dei 700-800 metri le condizioni ambientali favoriscono una pedogenesi (l’insieme di processi fisici, chimici e biologici che portano alla formazione di un suolo) relativamente più evoluta, la quale favorisce lo sviluppo di una formazione boschiva caducifoglia dominata da una interessante entità: la quercia di Gussone (Quercus gustanti).
Una sosta in prossimità della Casina di Pietratagliata (m 837), indicata nelle carte topografiche col nome di Impallaccionata, consente di soffermarsi all’interno di quest’ultima tipologia forestale. Intorno al km 20, oltre i 1000 metri di quota, una sosta va riservata agli aspetti del cerreto, anch’essi localizzati nella fascia submontana, dove occupano estese superfici. Per informazioni contattare: Laboratorio del Camminare Le Terre del Gattopardo, Santa Margherita di Belice (AG), Tel. 0925.33707, Cell. 333.8066163 (Domenico Cacioppo) i.mediterraneo@libero.it
2° itinerario / Sardegna
Iglesìas, sugherete incontaminate
Località di partenza ponte sul lago Corsi
Località di arrivo tempio punico romano di Antas
Difficoltà E
Dislivello < > 300 metri circa
Lunghezza del percorso 30 chilometri circa
Tempo di percorrenza 7 ore circa a piedi – 2 ore in mountain-bike
Itinerario nella Sardegna più selvaggia, alla scoperta di antichissime sugherete.
Descrizione: da Iglesias, cittadina di 30.000 abitanti a 50 chilometri da Cagliari, si percorre con l’auto la statale 126 in direzione Fluminimaggiore. All’altezza del ponte sul lago Corsi si parcheggia e ci si incammina per la sterrata che porta, dopo circa 2,5 chilometri all’antica sorgente delle Quattro Stagioni citata anche dal grande viaggiatore Valery.
Si continua sulla sterrata fino ad un sentiero non segnalato che non è altro che il letto di un torrente chiamato di S’Acqua Frida e che, in breve tempo, ci riporta su una sterrata diretta, verso Nord, al lago Monteponi, invaso non più utilizzato e immerso in una sughereta fittissima.
L’itinerario continua per la sterrata in direzione Nord e orientarsi diventa difficile in quanto i diversi incroci di strade, come una ragnatela, rendono questo luogo molto problematico per gli escursionisti inesperti. In questo caso, il GPS può sicuramente essere d’aiuto.
Continuando verso Nord, su strade non segnalate, si arriva dopo circa 10 chilometri di cammino alla localirà Grugua, dove ci si può rinfrescare presso una fonte. L’itinerario dopo altri 5-6 chilometri ci riporta alla statale 126 presso il passo di Genna Bogai dove, eventualmente, è possibile stabilire l’arrivo di una prima tappa.
La seconda parte del cammino prevede la percorrenza della strada a Ovest del passo e dopo circa 3-4 chilometri la discesa verso la vallata di Su Spiritu Santu che porta all’arrivo presso il tempio punico romano di Antas.
3° itinerario/Toscana
Itinerario faunistico forestale
Località di partenza e arrivo Chiesa di Alberese
Difficoltà T
Dislivello trascurabile
Lunghezza 5,2 chilometri
Tempo di percorrenza 3 ore
Segnaletica A5 e A6
La macchia mediterranea e il bosco di sughere e roverelle secolari sono l’attrazione principale di questo itinerario nel Parco della Maremma. I più fortunati potranno incontrare branchi di daini, caprioli e cinghiali, ma anche le più fuggevoli martore, istrici e tassi.
Descrizione: all’inizio del tracciato dell’itinerario A5 la natura rigogliosa è caratterizzata da essenze arboree come l’orniello, il leccio, la roverella, la sughera, l’acero e il cerro. Nella seconda parte del percorso gli esemplari arborei hanno portamento più rado, soprattutto arbustivo, in conseguenza alla minor fertilità del terreno.
E’ curiosa la presenza di un cerro-sughero, ossia una pianta ibrida che è il risultato dell’innesto di un cerro e una quercia da sughero. L’itinerario A6 consente invece di ammirare lo splendido bosco di sughere e roverelle secolari dove vivono stabilmente un gruppo di daini, di cinghiali e alcuni caprioli. Per informazioni: Ente Parco – Centro visite di Alberese, Tel. 0564.407098 oppure Naturalmente Toscana -Alberese – Tel. 0564.407269 info@naturalmentetoscana.it
Si ringrazia, per il prezioso contributo nella realizzazione dell’articolo, Domenico Cacioppo
alberi monumentali
LA SUGHERA DI CONTRADA CAVA
Si tratta di un superbo esemplare dall’imponente fusto colonnare che si biforca a V a circa 2 metri dal suolo. Alta una ventina dì metri, questa sughera monumentale si trova nel comune di Geraci Siculo (PA) e il suo tronco supera anche i 5 metri di circonferenza escluso il sughero. Quando è sottoposto a decorticatura mette in evidenza la vivace colorazione rossastra del fusto e dei rami principali, caratteristica che gli conferisce un particolare fascino.
Chi si ferma ad osservare la chioma scoprirà una forma espansa e asimmetrica, più sviluppata verso valle dove alcuni rami penduli arrivano a lambire il suolo. La pianta è ancorata da enormi radici, in grado perfino di inglobare massi di diverse dimensioni. Alla sughera di Contrada Cava sono attribuite alcune leggende locali, legate alle antiche tradizioni agropastorali del territorio.