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Cucina naturale,  Le verdure

Radici Erbe e frutti in Italia breve racconto

DEGLI ERBAGGI, CHE NELLA PRIMAVERA, COME ANCOR NELLE ALTRE STAGIONI, CRUDI E COTTI IN ITALIA SI MANGIANO.

Degli erbaggi mangiativi.

Più volte meco medesimo pensando e sottilmente considerando quante cose al vivere umano giovevoli questa nobile nazione1 da un cinquanta anni in qua s’abbia apparato a seminare e a mangiare dal concorso di molti popoli rifuggiti in questo sicuro asilo per ischermirsi e per salvarsi da’ rabbiosi morsi della crudele et empia Inquisizione romanesca2, le quali erano prima da quella come cattive a mangiare sprezzate e come nocive alla salute de’ corpi loro aborrite, mi son grandemente maravigliato di vedere che oggidì molti ancora, o per trascuraggine o per ignoranza, assai altre di seminare si rimangano3, le quali pure non son men buone a mangiare né meno salutifere a’ corpi nostri che quelle si sieno; il veder poi alcuni pure alcune di queste seminare, ma non già per voglia di cibarsene, ma sì più tosto spinti da vaghezza di riempire i colti4 loro di varie qualità d’erbe ciò farsi.

Queste considerazioni adunque han mosso me a cercar di porre per iscritto (al meglio mi saprò ricordare) non solo il nome di tutte quelle radici, di tutte quelle erbe e di tutti que’ frutti, che nella civile Italia5 si mangino, ma ancora di mostrare come, per trovare le predette cose buone, si vogliono cuocere, e in compagnia di che, crude, s’usino a mangiare, acciò che, per falta6 di questo, non s’astengan più da seminarle né da mangiarle.

Sì che, per dar principio a questa mia per aventura non afatto disutile fatica, comincierò, col nome di Dio e con un ardente desio di giovare al prossimo mio, da quelle erbe che nella verdeggiante e vaga primavera prima fuori della terra appaiono.

da Gastronomia del Rinascimento STRENNA UTET 1974

De’ lupyli.

Pertanto dico la prima erba, che in così fatta stagione si vegga, il lupulo7 è, che non mangiam noi mai cruda; ma, dopo averne in più acque lavata quella quantità ne piace, a cuocere in acqua con un poco di sale mettiamo; e, cotta, di là la traemo, e ben bene sgocciolata in un piatto netto posta, con sale, con assai olio, con poco aceto, od in suo luogo succo di limone, e un poco di pepe franto e non polverizzato l’acconciamo, e inanzi pasto per insalata l’usiamo. Altri poi, bolliti che hanno i lupuli, gl’infarinano e in olio gli friggono, e sopra vi sparono8 un poco di sale, di pepe e succo di melaranzi9, e così con gusto se gli mangiano.

E perché questo simplice10 è sovrano a rinfrescare e a purificare il sangue, gli uomini che non vogliono per ogni leggier cagione molestare il medico, né saziar gli ‘ngordi speziali, e pur è loro a cuore la salute de’ corpi loro, pigliano un piccicotto di questo simplice e altretanto fumoterra, cicorea, indivia e boraggine11, e tutte insieme, ben lavate, in acqua senza sale fan cuocere.

E qui si vuoi notare che l’acqua non sarà men di due quarte12, e si faran tanto in quella bollire che scemi la metà, e poi l’erbe si trarranno, che pure per insalata la sera si mangiano; e la mattina, anzi levarsi del letto, si beono un buon bicchiere di quella decozione tepida, e ciò continuano di fare lo spazio di sette o di nove mattine, e dopo prendono una presa di cascia13 o di manna o d’altro leggiero purgativo, e a questa guisa freschi e sani tutta la vegnente estate con poco costo si conservano.

Questa medicina usano spezialmente quelli che dalla rincrescevole ischivevole rogna son molestati, e in un subito restan mondi e sani.

Degli sparagi.

Appresso, anzi per poco nel medesimo tempo, vengono gli  sparagi, frutto, o vogliamlo chiamare simplice, vie migliore del lupulo. Questi vengono d’alcuni mangiati crudi col sale e col pepe, ma, cotti e acconci come de’ lupuli vengo di dire, a me piacciono molto più.

Altri di loro pigliano i più grossi, e prima d’olio gli ungono bene, e poi, avendovi sparto alquanto sale e pepe, sopra un tagliere gli rivolgono per quel sale impeperato, e così acconci sopra la graticola ad arrostir gli mettono, et è un delicato mangiare, massime spargendovi sopra sugo di naranzi14. E lo sparago sanissimo, non facendo male a parte veruna del corpo umano, e sopra il tutto è ottimo per coloro che con pena orinano, perch’è aperitivo molto.

De’ broccoli.

Dietro a questi i broccoli delle verze o de’ cavoli lumbardi  vengono, che sono le tenere foglie che i torsi de’ cavoli restati negli orti tutto lo ‘nverno gittano in questa stagione fuori, e van cotti e apprestati come ho di già detto ne’ predetti due simplici, se bene alcuni metton a bollire con questi uno o due capi d’aglio, che gli da un gusto mirabile.

De’ carciofi.

Seguitano i carciofi, dico in Italia, ove non durano tutto l’anno,  come sovente fanno in questo fertilissimo reame. Si mangiano i carciofi crudi e cotti, ma con alcun ragionevole riguardo, perché, come son grossi quanto è una commune noce, son buoni da mangiar crudi, né altro con essi si mangia che sale, pepe e cacio vecchio.

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Se ben molti senza il cacio li mangino, gli uni ciò fanno per aborire tal cibo, gli altri per generar lor catarro e alcuni per ignoranza, non sapendo qual sapore accresca loro; né più grossi d’un pomo commune crudi son buoni.

A più foggie poi noi gli cucciamo, oltre alla non biasimevole maniera inglese, perché i piccioli, che non vogliam mangiare crudi, tagliate alquanto le cime delle loro pungenti foglie, diana loro prima un bollo in acqua pura, la qual gittiam via per essere amarissima, e poi gli facciam finire di cuocere in buon brodo di carne grassa di manzo o di capponi; e cotti che sono, li mettiamo in un piatto alquanto cupo15 con un poco di quel brodo, e sopra vi spargiamo formaggio vecchio grattugiato e pepe, che accresce lor bontà, e così vengono da noi trovati un ghiotto mangiare, che a scriverlo mi fa venir l’acqua in bocca.

Di simiglianti ancora ne facciam pasticci accompagnati da monne ostriche16 e dalla midolla de’ manzi, non gli privando del suo sale né del suo pepe, e per farne tai pasticci convien dar lor prima il bollo testé detto.

I più grossi cucciamo su la graticola, tagliando lor la metà delle foglie, e sopra vi gittiam olio, pepe e sale; e chi dopo gl’inamerà di sugo di naranzi mi rendo certo che non farà lor danno veruno ; e piacciono oltre a modo, a questa maniera cotti, a chiunque ne mangia.

I soverchi grossi, quali in questa isola nascono, cucciamo un poco prima in acqua e poi tra le loro gran foglie, che dalla metà in su tagliamo, mettiamo delle ostriche con dell’acqua lor natia e bocconcini di midolla di manzo con pepe, sale e olio o butiro fresco, e poi ne facciam pasticci che riescono fuor d’ogni credere ottimi.

Della fava capodeca verde.

Nel medesimo tempo vengono le fave verdi, d’alcuni chiamate  casaljne e d’altri capodiche17, le quali noi mangiamo dopo pasto con formaggio salato; e non avendone di tale, usiamo del parmegiano, e sempre col pepe; ma non avendo formaggio alcuno, usiamo ancora il sale.

Quando poi cominciano a divenir dure, le mangiamo cotte nella seguente maniera: le facciamo prima cuocere un poco in acqua per poterle levar quella corteccia verde-gialla, e così, di quella spogliate, le mettiamo in una teggiuzza18 con olio o con butiro fresco, con erbe buone, sale e pepe; e lasciate quivi adagio cuocere, riesce un manicheretto buono.

Erbe buone quali sieno

Ma, prima di proceder più oltre, è bene dimostrare quello che  per erbe buone io intenda, conciosia cosa che questa maniera di parlare mi convenga spesso usare. Perciò dico che le nostre massare chiamino erbe buone una certa proporzione di petrosello19, di bietola, di menta, di basilico e di timo, ma più delle due prime, per esser meno agute20, le quali prima si vogliono lavare, poi col coltello minutamente tagliare, e così fatta mischianza usiamo a condire molti cibi, e spezialmente le fave.

De’ piselli,

Seguitano poi i piselli, legume più nobile, e particolarmente quelli i cui baccelli son non punto men buoni a mangiare che i lor grani si sieno21. Questo legume noi cucciamo, oltre alle buone maniere di questa nobil contrada, ancora in minestra tanto da grasso quanto da magro, in compagnia delle erbe buone. E cocendogli da grasso, si cuocono in brodo buono, et essendo mezzo cotti, vi mettiamo del lardo pesto, sì che sia come butiro; cocendogli poi da magro, invece di lardo e di brodo usiam l’acqua, .ma poca, e olio assai, col sale, con l’erbe buone e con le spezie forti o dolci.

Delle cime della malva

Abbiamo ancora in questo medesimo tempo le cime della malva, anzi che comincino a fiorire. Si tagliano adunque lunghe un palmo, tagliando tutte le foglie, eccetto una o due piccole, che cingono i bottoncini su l’ultima parte di quelle; co’ predetti bottoncini son buone. Si cuocono poi e s’acconciano come i lupuli, e senza noia veruna lubricano il corpo e non poco contra i dolori dell’orina giovano.

De’ cuori della lappola maggiore

Sono parimente buoni in questa stagione i bianchi cuori della lappola maggiore22, li quali dalle radici surgono tra le sue ampie foglie [e] appaiono candidi ; li quali si mondano e, non volendosi subito mangiare, in acqua pura si gittano acciò che si mantengan bianchi; col sale e col pepe poi si mangiano crudi, né hanno piggior sapore che s’abbiano i cardoni e i carchioffoli.

Ma è ormai tempo che delle diverse e più commuta insalate, che in questo tempo si trovano e con gusto si mangiano, passi a ragionare.

Della diversità delle insalate di questa stagione.

Quanto grate, gustevoli e sane sieno nel principio di questa tutta ridente stagione le verdi insalate a pieno non si può esprimere, e questo per due speziali ragioni credo avenire.

L’una è per essere ornai le cotte dello ‘nverno venute a rincrescimento non picciolo; l’altra è per apportar queste verdi molto piacere agli occhi, assai gusto al palato e (che monta più) non già poca salute a’ corpi umani, purgandogli da’ malinconici e da’ nocivi umori della passata rea stagione ammassati: quali son quelle de’ teneri germogli

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Della cicorea salvatica.

della cicorea salvatica (altrimenti dente di leone appellata) e della domestica ancora, cotti però con un poco della sua radice, la quale prima si rade23 e poi si lava; e dopo ciò, nel farla24, si frega prima il piatto d’aglio, e ultimamente con sale, olio e aceto si fa.

De’ raponzoli.

Sono eziandio allora buoni i raponzoli, che sono certe radicine candide, lunghette e sghiaccide25 molto; e non pur le radici sole, ma le foglie sono ancor buone; e queste ancor si deono radere, e crude in insalata si mangiano e con molto gusto delle persone che tal insalata san conoscere. Alcuni ancora nella patria mia ne fann’ottima minestra, cocendole in molto buon brodo di carne con pepe e cacio grattugiato sovra.

Dalle mischianze,

Ora, tra tutte le insalate che in questa stagione si mangiano, le mischianze, quali andrò notando, portano di bontà il vanto, e nella seguente maniera si fanno. Si piglia una parte delle spuntanti foglie della menta riccia, quelle del nasturzio, del basilico, della cidronella, le cime della pimpinella, del dragone, i fiori e le foglie della borana, i fiori dell’erba stella, i germogli del rinascente finocchio, le foglie della ruvola gentile e dell’acetosa e i fiori del rammerino, alcune violette mamole, le più tenere foglie overo i cuori della lattuca e simigliami26.

Queste rar’ erbe, ben nettate che fiano d’ogni secca foglia e in più acque ben lavate e un po’ poco asciutte con un mondo pannicello di lino, si acconciano come ormai s’è, parlando d’altre, insegnato.
Ma perché non è assai l’aver molte buone erbe per fare che la insalata riesca buona, conciosia cosa che la bontà di quella altretanto consista in saperla fare, giudico esser ben fatto, anzi di proceder più oltre, dimostrar qui il modo di farla.

Laonde dico che monta molto a saperla lavare e poi condirla, essendo che molte cucinatrici e cuochi oltramontani27, avendo l’erbe preste a lavare, quelle in un secchio pieno d’acqua overo in alcuno altro vaso mettono, e dopo averle in quello un poco dimenate e slavacchiate, non le tirino fuori di là colle mani, ma colino l’acqua, il che fa che la rena, che attorno l’erbe si sta, vi si rimanga, onde, nel mangiarsi poi l’insalata, si sente con non picciol noia sotto i denti; perciò conviene che la persona che la dèe fare, avendosi prima le mani lavate, metta l’erbe in un catino pien d’acqua, e dopo averle quivi bene dimenate, le cavi fuori, e ciò facci almen tre o quattro fiate, e così vedrassi nel fondo del vaso la rena, e ogni altra lordura si resterà; e poscia averle bene sgocciolate e alquanto asciutte, come a dietro ho detto, si pongono nel piatto ove prima un poco di sale sia, e in porvi le erbe vi si dèe andare spargendo sopra del sale e, dopo, l’olio con larga mano; e ciò fatto, si vogliono rivolgere molto bene con le dita ben monde, overo col coltello e con la forchetta, ch’è più graziosa maniera; e questo si fa acciò che ogni foglia pigli l’olio, e non fare come i Tedeschi e altre straniere generazioni28 fanno, li quali, appresso avere un po’ poco l’erbe lavate, in un mucchio le mettono nel piatto e su vi gittano un poco di sale e non molto olio, ma molto aceto, senza mai rivolgerla, non avendo eglino altra mira che di piacere all’occhio; ma noi Italici abbiam più riguardo di piacere a monna bocca29.

Altri fan vie peggio, che così pure ammucchiate con sale e solo aceto in tavola le mandino, onde convien poi quivi porvi l’olio, che l’erbe di già abbeverate d’aceto non posson pigliar l’olio; né rimovendole mai, la maggior parte di quelle si rimangano pura erba, buona da dare a’ paperi.

Perciò a farle buone conviene, postovi l’olio, rivolgerle, e poi pervi l’aceto, e da capo rivolgerla tutta, e chi così farà e non la troverà buona, dolgasi di me; e che sia vero che molto sale e olio vi si richiede e poco aceto, ecco il testo della legge insalatesca, che dice:
Insalata ben salata, poco aceto e ben oliata;
e chi contro a così giusto comandamento pecca è degno di non mangiar mai buona insalata.

Olla podrida che cosa sia

In Italia fanno un’altra insalata, che con nome barbaro nominano olla podrida30, perché, oltre a tutte le predette erbe, v’aggiungano l’indivia bianca, i bianchi germogli delle radici della cicorea e alcune delle predette radici cotte, uva passa, angive, olive senza noccioli, cappari salati (fatti però prima stare in acqua tepida, acciò che perdano alquanto della loro salamoia) e capparetti genovesi, fette di lingue di manzo salate, così pezzetti di cedro e di limoni e, s’el tempo il da, cipollette verdi e ravanelli o ramolacci.

De’ maceroni

De’ bianchi germogli di maceroni31 facciamo pure buone insalate, crudi e. cotti, né son punto men buone le sue radici, ma cotte; li quali maceroni qui chiamano « alessandri » 32 ; e soli e ili compagnia d’altre erbe son buoni.

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Né delle insalate so che mi resta a dire, se non se che apparai una volta in Francia a fare insalata di cavoli capucci tagliati sottilissimamente, né mi spiacque punto; e quando io mi son poscia trovato in parte ove altra materia da fare insalate non si sia trovata, io mi son servito di così fatta insalata e non e stata trovata cattiva.

Delle fraghe.

Abbiam noi in questa stagione sola le odorifere e salutevoli fraghe33, ma questi felici popoli non le hanno così per tempo, ma ne hanno due volte, cioè nel giugno e nell’ottobre, come l’anno passato, trovandomi io a Cantabrigia34, ne mangiai con mia ammirazione a ventotto d’ottobre, et eran buone.

Dell’uva spina

Vien poi sul fine pur di tale stagione l’uva spina, che noi molto  più volentieri acerbetta usiamo che matura, tutto al contrario degl’Inglesi, che oltre a modo amano le cose dolci; e questo aviene dal non fare in queste contrade così gran caldo che da noi fa, che ci leva a fatto l’appetito, il quale viene da’ cibi agretti risvegliato e non da’ dolci.

La usiamo adunque negl’intingoli, che a’ polli, a’ pipioni35 e alla vitella alessa facciamo; e quando questa vien meno, usiamo in suo luogo i grani dell’uva non matura, che agreste nomiamo.

Legenda

1. la nazione britannica; in Inghilterra il Castelvetro aveva trovato ai primi del 1613 il suo ultimo rifugio, dopo essere scampato nel settembre 1611 dalle carceri dell’Inquisizione veneziana grazie ad un autorevole intervento dell’ambasciatore inglese Dudley Carleton; in Inghilterra e in Scozia aveva già fatto soggiorno per non brevi periodi a partire dal 1574.
2. grazie agli usi gastronomici degli esuli fiamminghi, valloni e francesi delle province atlantiche, sospinti dalle persecuzioni e dalle guerre civili a mettersi in salvo oltre Manica; nella sola città di Londra furono censiti 6.700 stranieri nel luglio 1568 e ben 13.700 nel 1574.
3. si astengano.
4. le culture, gli orti; cfr. più avanti la nota 80.

5. «civile» vale qui: ben costumata, esperta di agi e di raffinatezze.
6. spagnolismo da. falta: mancanza, difetto.
7. il luppolo, una Orticacea (Humulus lupulus); già i Romani si cibavano dei
suoi giovani germogli.
8. spargono.
9. frutti del melangolo o arancio forte (Cltrus aurantium).
10. termine del linguaggio medico: dal mondo vegetale si traevano i medicamenti «semplici», non manipolati né mescolati artificiosamente; cfr. anche «simplicista» per «botanico», nota 168.
11. fumoterra o fumaria è un’erba spontanea, ma coltivata anche negli orti perle foglie gradevoli in insalata e le radici amare e toniche; la borragine o borrana (Borrago officìnalis) dalle foglie ruvide e villose.

12. la « quarta » modenese doveva misurare circa 8 litri.
13. la Cassia fistula, pianta tropicale di cui si importava la polpa nera del frutto per la sua azione lassativa.
14. aranci; più oltre scrive anche «aranzi».

15. profondo: una scodella o fondina.
16. cioè: «madonne ostriche» o «signore ostriche», in tono di scherzoso rispetto.
17..la fava «capodica» è citata anche più oltre (nota 142). Il nome (modenese « capodga », reggiano e parmigiano « capolga ») deriva dal basso latino capoticus (da caput) e vale « grosso », « marchiano ». Si tratta della fava da orto, detta in Toscana « baccello pistoiese », che si distingue per la grossezza dei semi.
18. una piccola teglia.

19. il prezzemolo (Petroselinum hortense], un’Ombrellifera.
20. di sapore acuto, pungente.
21. cioè le taccole.
22. l’Echinospermum lappula, una Borraginacea.

23. raschia; cfr. più avanti «radere» (nota 165).
24. si sottintende: l’insalata.
25. il raperonzolo (Campanula rapunculus), una Campanulacea; «sghiaccida» (e anche più avanti « isghiaccida », cfr. note 40, 95, 164) è voce dialettale, che significa: friabile come ghiaccio, croccante.
26. il «nasturzio» (Nasturtiutn ojfidnalé) è il crescione, una Crocifera; la «citronella», dal sapore di limone, è una Graminacea; la «pimpinella» o salvas’trella

(Poterium sanguisorba) e una Rosacea; il « dragone » o dragoncello o serpentaria (Artemisia dracunculus) è una Tubuliflora; l’« erba stella» o barba di cappuccino (Plantalo coronopus) è una Plantaginacea ; la « ruvola » è la ruca o ruchetta (Eruca saliva), una Crocifera; l’« acetosa» (Rumex acetosa) è una Poligonacea.
27. rispetto all’Italia, cioè fuori dei suoi confini alpestri.
28. stirpi, nazioni; cfr. la nota 137.
29. cfr. la nota io.

30. solo il fitto miscuglio di ingredienti potè suggerire qualche analogia tra questa insalata e la « pignatta marcita » della cucina popolare spagniuola, ch’è uno stufato di ceci e verdure con carne di vacca, di montone, di pollo, prosciutto e salsiccia.
31. lo Smyrnium olusatrum, simile al sedano, dal sapore acuto e aromatico.
32. in inglese: alexandre o alexanders.
33- fragole.

34. a Cambridge (in latino Cantabrigia); l’«anno passato» è il 1613.
35. pippioni o piccioni.

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