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Cucina naturale

Le Lenticchie tradizione di Capodanno

Dove cresce la Fortuna

Le lenticchie, piatto tradizionale per il cenone di Capodanno, sono fortemente “gettonate”. Dall’Umbria  alla Sicilia la riscoperta di numerose varietà credute perdute
— DI ROSSELLA CERULLI —

I VIAGGI Di Repubblica

— MARCHE — Monte Cavallo

Il frutto di selezioni  ultrasecolari

DISTANTE pochissimi chilometri da Visso, centro principale del Parco dei Monti Sibillini, Monte Cavallo è un piccolo comune del maceratese.

Situata sullo spartiacque tra l’Adriatico e il Tirreno, la località, una delle più piccole delle Marche (180 abitanti!), è zona di castelli, voluti dai duchi di Spoleto e poi di Camerino, boschi fittissimi e coltivazioni di montagna.

Monte Cavallo ha aderito alla “Rete delle città della lenticchia”, creata di recente dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI – vww.anci.it ) proprio per riscoprire e promuovere la produzione del legume in tutta la penisola.

Leggermente più grandi e più chiare delle loro famose “colleghe” di Castelluccio, le lenticchie di Monte Cavallo sono di altissima qualità, non si sfaldano durante la cottura e sono frutto di secoli e secoli di selezione, le lenticchie vengono coltivate a 1150 metri di altezza.

— UMBRIA — Castelluccio di Norcia

Superblasonata, piccola e buona

DAL 1996 infatti la lenticchia di Castelluccio è l’unica in Italia a potersi fregiare del marchio IGP (Indicazione geografica protetta), sola in Europa con la sua collega francese di Puy.

Quale il segreto della ricetta? “Beh, la nostra è una tradizione che nei secoli non si è mai perduta -sostiene
Giampaolo Bettini – Tutto il processo è totalmente biologico e la resa per ettaro, nell’intera zona IGP, è di 3000 quintali”.

L’identikit di questa superblasonata lenticchia?
“Innanzitutto le ridottissime dimensioni. Poi la varietà di colore, che non è mai uniforme pervia della maturazione naturale: si va dal marrone al verde scuro. Infine la tenuta in cottura e la buccia sottile.
E ovviamente il sapore unico, dato dal terreno e dagli sbalzi termici. Lo sa che qui in inverno si arriva a – 10°?”.

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Oggi gruppi di giapponesi si spingono sull’altipiano per assaggiare la celebre zuppa di legumi umbra.

— ABRUZZ O — S. Stefano di Sessanio


Buonissima bollita senza soffritto

SANTO Stefano di Sessanio, 1250 metri d’altezza, è il gioiello del Gran Sasso, perfettamente conservato e protetto. Su questi altopiani aridi, che sfiorano i 1500 metri, cresce una delle lenticchie più celebri d’Italia.

Una vera star della zona: il cui genoma, e cioè il seme originario, è arrivato immutato fino a noi nel corso dei secoli.

Dalla superficie striata, rugosa, di colore marrone scuro, assai piccola (dai 3 ai 5 mm), molto ricca
di ferro, questa lenticchia è uno dei vanti della cucina locale, ma è amatissima anche dai cultori della nouvelle cousine.

A Santo Stefano la preparano in zuppa, con tocchetti di pane fritto, o con le volarelle, pasta fatta in casa tagliata a quadretti. “Ma è buonissima anche bollita, senza soffritto”, spiega Gabriella Costantini, imprenditrice, che ogni anno ne produce circa 60 quintali.

A Santo Stefano, a luglio , si è tenuta una convention della lenticchia.

— LAZI O — Onano


Piatto papale non si sfalda mai

PARE che Pio IX, per consolarsi nel 1871 della perdita del potere temporale, si facesse spesso preparare un piatto di lenticchie provenienti da Onano.

Proprio grazie alle virtù del suo prezioso legume, il paese di Onano, piccolo centro dei Monti Volsini, nel
cuore dell’Alta Tuscia, può vantare un cursus honorum di tutto rispetto: la lenticchia laziale infatti nel 1910 e 1911 mieteva successi oltreoceano e oltremanica.

Prodotto dì punta della Comunità montana locale e presidio dello Slow Food, insieme alle “cugine” di Ustica e Santo Stefano di Sessanio (vww.slowfood.it), la leguminosa laziale continua conservare intatte le sue qualità, dovute al terreno assai permeabile, ben esposto tra i 400 e i 600 m. e alla totale assenza di ristagni idrici.

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Come riconoscerla? Dalla forma, piuttosto appiattita e dal colore cenere-rosato. E dalla resa in pentola: non si sfalda mai.

— LAZI O — Ventotene

Il tenero e dolce sapore del mare

ED ECCO una lenticchia di mare, rarissima. Anche qui la tradizione affonda i tempi lontani, a metà ‘800, quando si arrivava produrne anche 1500 quintali l’anno.

A perpetuarla, all’inizio per gioco, un giovanissimo, Andrea Biondo, 32 anni, uno dei due più grandi produttori. “Quella di Ventotene è una lenticchia “lavoratìssima” nel senso che tra aratura del terreno, fresatura e scelta finale l’attività è fatta tutta a mano’.

La semina comincia a metà marzo, e da qui è tutto un susseguirsi di attenzioni, dalla zappettatura, alla pulizia dalle erbacce (i diserbanti sono sono assolutamente banditi), fino alla raccolta tra maggio e giugno, il risultato di questo processo arcaico è un legume di piccolo calibro dal colore marroncino chiaro, dal sapore dolce, ricchissimo di sali minerali.

Performance garantite dal clima mite e dalla presenza del mare. È molta tenera e compatta.

— SICILIA — Ustica


Profumatissima in cottura

LA LENS culinaris Medik è coltivata a Ustica fin dai tempi della sua colonizzazione, risalente alla metà del 1700.

All’epoca semina, coltivazione e raccolta facevano parte di un rituale vero e proprio che coinvolgeva tutti gli abitanti dell’isola, animali compresi.

Il giorno di Santa Lucia, 13 dicembre, si dissodava il terreno con un aratro tirato da buoi, e si finiva a giugno con la pistata: le piante ormai essìcate e i baccelli venivano frantumati dal passaggio di asini spronati a correre nell’interno dell’aia.

Solo allora, ridotta la massa di paglia e residui, si poteva procedere alla scelta dei semi. “E’ dal 2002 che stiamo assistendo ad un vero e proprio boom di richieste”, racconta il produttore Sabino Palmisano.

Piccola, dal sapore intenso, profumatissima in cottura, la lenticchia dell’isola ha imparato a navigare, per raggiungere, magari in pacchi dono natalizi, le tavole di tutta Italia.

— SICILI A — Linosa


Subito in pentola senza ammollo

LE LENTICCHIE in primavera riempiono di cespugli verdi l’intero territorio, insieme ai profumatissimi capperi.

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Anna Mascari: “lo le ho sempre coltivate e cucinate, anche d’estate per i turisti”. A maggio i Linosani si dedicano alla raccolta dei preziosi legumi (1800 kg in tutta l’isola) separando con il “traente” (un forchettone creato ad hoc) la paglia delle piante ormai secche dai piccoli baccelli, contenenti ognuno due o tre lenticchie.

Una volta raccolte, vengono passate per pochi minuti al forno, per meglio conservarle e ed evitare che vi si formino parassiti. Le caratteristiche? “Il colore marroncino chiaro, le piccole dimensioni, e il sapore, gustosissimo”, spiega Mascari.

Quelle di Linosa, come tutte le lenticchie isolane, grazie al clima più dolce e alla scarsità d’acqua, assume un sapore sapido.

E ha una gran fretta di andare in pentola. Senza passare per l’ammollo.

— SICILIA — Leonforte

Nera e profumata cuoce in fretta

SE NON fosse stato per un cocciutissimo agricoltore di Leonforte, Angelo Manna, che ***due anni fa si è messo in testa a tutti i costi di riprovare a coltivarla, oggi probabilmente di questa stranissima lenticchia siciliana non ci sarebbe più traccia.

La sua particolarità? Il colore. È nera: come la pece. ‘Si’, è una varietà tipica delle colline di Enna”, racconta Manna. La lenticchia nera ha infatti tutte le carte in regola per conquistarsi un suo posto al sole.

È leggermente più grande di quella di Ustica, è profumata, cuoce molto in fretta, ha un aspetto invitante e un gusto particolare e si abbina benissimo con il pesce.

Slow Food vorrebbe fame l’ennesimo presidio, proprio qui, nel cuore profondo e silenzioso della Sicilia ennese. Al momento il signor Manna un po’ di lenticchie da vendere al dettaglio ancora ce l’ha.

I cultori della materia sono avvertiti.

da I VIAGGI di Repubblica 2005

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