Fuso orario Utc+1 ora di Termoli
Che ora è ?
L’ora di Termoli, naturalmente,
la Greenwich italiana, dove in spiaggia
passa il meridiano di Utc+1, quello che
regola il tempo di Parigi e Berlino, oltre
che il nostro. Vi par poco?
di Niccolò Piccoli
Il campanile batte mezzogiorno. A Torino come a Trieste, a Napoli come a Cagliari. Sarà giusto? Basta tendere l’orecchio e ascoltare il campanile di Termoli, perché è lì che scocca il mezzogiorno di riferimento per tutta l’Italia. Bizzarrie?
È sufficiente raggiungere la spiaggia di Rio Vivo, presso la marina di San Pietro, ed ecco un bassorilievo che conferma: qui si incrodano il 42° parallelo nord e il 15° meridiano est, che è quello centrale del fuso orario Utc+1. Che cosa significa?
Che la cosiddetta “ora di Termoli” è quella ufficiale di Parigi, Berlino o Roma, una più avanti di quella di Greenwich, l’ora zero del pianeta almeno a partire dal 1884.
In quell’anno si stabilì infatti che il meridiano che passava sul terrazzo dell’osservatorio londinese, dove già da due secoli lavoravano gli astronomi reali, e che è ben indicato da una lunga linea tracciata sulla pavimentazione, sarebbe stato il primo della “data universale”.
E che il “giorno universale” sarebbe cominciato lì, e scandito da 24 ore planetarie. La seconda ora, appunto Utc+1, “tempo coordinato universale più uno”, batte invece a Termoli. In questa cittadina di 30mila abitanti affacciata sull’Adriatico non si trovano osservatori antichi e prestigiosi ma, semmai, una stazione meteorologica impiantata nel 1946 dall’Aeronautica militare sulla torre del castello Svevo.
Eppure questa rocca sta qui almeno dall’ XI secolo, e fu ristrutturata intorno al 1247 per volere di Federico II : di linee semplici, in pietra arenaria e calcarea, privo di particolari ornamenti, il castello è il simbolo della città e vigila alto sul centro storico, il borgo Vecchio, serrato fra muraglioni e alto sul promontorio.
Per più di quattordici secoli, a partire dal V secolo fino al 1847 (quando Ferdinando II di Borbone autorizzò i termolesi a costruire fuori le mura), Termoli è stata chiusa lì dentro. Un labirinto di case in pietra chiara, una addosso all’altra tanto che già nel 1765 il vescovo Tommaso Giannelli poteva scrivere: “Il giro del borgo, che forma la figura di circolo, è di 300 passi circa.
Vi abitano con angustia 1.400 cittadini, mentre la povera gente, che forma la parte maggiore, per quanto sia numerosa la famiglia, non suole avere più di una o due stanze nelle quali si ha l’asino, il porco e quanto gli occorre. La città era circondata di muri e di passo in passo vi erano torri”.
Cè una rappresentazione che si tiene ogni anno a Ferragosto, con comparse in costume e musicanti, che ricorda una data importante, per il borgo. Era il 2 agosto 1566 e la flotta ottomana di Kaly Pascià strinse d’assedio la piccola rocca, distrusse abitazioni e mura, e appiccò incendi ovunque, dando fuoco anche alla vecchia cattedrale romanica. I termolesi che sfuggirono alla cattura si ritirarono nelle campagne e lì, con coraggio e disperazione, riuscirono a fermare gli invasori e a ricacciarli in mare. Così oggi l’incendio del castello trova memoria in una festa di fuochi artificiali che replicano l’antico incendio.
La cattedrale – in cui riposano le reliquie di san Basso, anche se qualche altro centro, Cupra Marittima per esempio, rivendica quelle originali – si erge invece ancora al centro del Borgo, in una piazza che all’improvviso si apre fra una matassa di stradine attorcigliate, che a volte sono ampie appena 40 o 50 centimetri.
La facciata è mossa da arcate a ghiera, capitelli scolpiti e bifore merlettate. Attribuirle una data è diffìcile, anche perché la sua struttura potrebbe sovrapporsi a quella di un edificio del IX secolo (e sotto, addirittura, le rovine di un tempio romano).
Ma altre cose sono difficili da comprendere, Ln questa piccola e affascinante città. Da dove arriva il suo nome, per esempio? Secondo l’arcidiacono Tommaso da Termoli (XV secolo) bisogna partire da tres moles, cioè tre torri.
Lorenzo Pignorio (XVI secolo) preferisce riferirsi a termulae, piccole terme, che per altro nessuno ha mai trovato in zona. Gennaro De Rubertis (XVIII secolo), altro monsignore, parla di termolantes, cioè delle terre appartenenti alla Chiesa e immuni dalla podestà secolare. Per non parlare di chi sposa Termoli e Tremiti in una sola radice: la frequenza dei terremoti.
I linguisti, infine, fanno notare come le tre lettere finali (“oli”) siano riconducibili al termine greco polis (vedi Napoli o Gallipoli), cioè città, mentre la radice deriverebbe da tema o termine… in sintesi “città di confine”.
Una carta risalente al 1745, che disegna la costa molisana, riporta i toponimi Termole e Termine. Dove l’hanno trovata? In un archivio americano. Sì, perché per ^yankee un bel significato, inatteso per noi Termoli ce l’ha: qui fra il 2 e il 6 ottobre 1943, ha avuto luogo una delle più importanti battaglie fra carri armati della campagna d’Italia, con panzer tedeschi da una parte e tank canadesi e inglesi dall’altra. Vinsero gli alleati.