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Le piante della salute Cap. I

Cardo santo

E’ apprezzato soprattutto per le proprietà amaro-toniche il cardo santo, o cardo benedetto (Cnicus benedictus), una composita il cui areale è limitato al bacino del Mediterraneo, ma che allo stato di pianta naturalizzata cresce anche nell’America settentrionale e nel Sudafrica.

L’aggettivo specifico della nomenclatura linneana, benedictus, già indica la considerazione in cui questa pianta era tenuta nei secoli passati,
anche se le numerose virtù terapeutiche che le venivano attribuite erano in gran parte frutto di fantasia. La droga viene fornita dall’erba fiorita – sommità fiorite e foglie – privata delle porzioni più grosse dei fusti. Vanno riconosciute al cardo santo doti di amaro-tonico che agisce efficacemente nell’attivare l’appetito, allo stesso modo della quassia. Non sono tuttavia da sottovalutare anche le proprietà diuretiche, diaforetiche e colagoghe. In terapia viene usato soprattutto come eupeptico per curare dispepsie.

A una sommaria osservazione le foglie dellagrifoglio possono assomigliare abbastanza a quelle di certe forme di leccio (Quercus ilex); non per niente la nostra pianta, llex aquifolium, deve la sua etimologia, per quel che riguarda il nome scientifico del genere, al termine specifico della caratteristica quercia sempreverde, con la quale appunto è più o meno accomunato per la morfologia fogliare.

#Agrifoglio

L’agrifoglio, arbusto od alberetto sempreverde dell’Europa, dell’Asia occidentale e dell’Africa settentrionale, forse non era conosciuto dagli antichi, né dai greci, né dai romani; probabilmente anche nei primi secoli dopo Cristo della nostra pianta non erano apprezzate le proprietà terapeutiche. Notizie molto spesso incontrollabili e spesso fantasiose ci vengono tramandate in tempi successivi da Sant’Alberto Magno, dal Mattioli e da Paracelso.

Alla farmacologia interessano le foglie che si possono raccogliere nel corso di tutto l’anno, secondo il giudizio di alcuni autori, prima della fioritura, invece, secondo altri. Sono di sapore amaro per la presenza del glucoside ilicina. Per la loro azione amaro-tonica, febbrifuga e sedativa, venivano usate – oggi la richiesta è pressoché nulla – sotto forma di decozione o di infuso nei casi di coliche, di digestioni difficili e di febbri di tipo malarico e quindi persistenti per lungo tempo.

Principi attivi sono stati pure riscontrati nella corteccia, che avrebbe azione febbrifuga e sedativa nei disturbi epatici, e nelle drupe la cui azione purgativa ed emetica ha procurato talvolta gravi casi di avvelenamento e perfino la morte in individui in tenera età.

Calcatreppola

Sono un discreto numero le specie del genere Centaurea impiegate per le loro virtù terapeutiche nella medicina popolare; tra le altre qui ricordiamo Centaurea calcitrapa, la calcatreppola, o cardo stellato, composita che ben può sostituire il già citato cardo santo. Infatti nelle sommità fiorite di questa specie è presente un glucoside amaro che fondamentalmente conferisce alla pianta caratteristiche amaro-toniche. Non vada comunque tralasciato che questa essenza erbacea contiene pure nelle foglie e nei fiori principi attivi con azione febbrifuga, mentre alla radice e ai frutti sono attribuite proprietà diuretiche.

Querciola Centaurea minore Melissa

Querciola

La querciola (Teucrium chamaedrys), labiata dell’Europa meridionale, Asia occidentale e Africa boreale, deve il suo nome, che significa “piccola quercia”, alla morfologia delle foglie che ricorda quella della quercia. In tempi lontani era esclusivamente apprezzata per le proprietà vulnerarie che ancor oggi vengono sfruttate per curare ulcere e piaghe.

Generalmente oggi però la droga, che è fornita dalla pianta intera e dalle sommità fiorite, date anche le sue doti amaro-toniche, stimolanti, diuretiche, antisettiche, viene impiegata nei disturbi digestivi, nelle malattie del fegato, nelle anemie e nelle bronchiti.

Centaurea minore

La centaurea minore (Erythraea centaurium), genzianacea dell’Europa, dell’Asia occidentale e dell’Africa settentrionale, era stimata al tempo di Dioscoride per le proprietà emmenagoghe e colagoghe, ma soprattutto cicatrizzanti, alla cui fama aveva non poco contribuito la leggenda del centauro Chitone – onde il nome specifico latino – che, si narra, era stato guarito da una ferita a un piede grazie all’applicazione di foglie e fiori freschi di centaurea minore.

Molti secoli dopo, nel 1500, correva l’uso di chiamare questa pianta col nome di biondella, poiché le donne dell’epoca la impiegavano per rendere bionde le loro chiome, anche se con scarsi risultati.
Quasi contemporaneamente, però, si intravidero nella centaurea quelle proprietà terapeutiche per le quali ancora oggi è abbastanza rinomata.

L’intera pianta fiorita o meglio le sommità fiorite, che costituiscono la droga, posseggono proprietà amaro-toniche, stomachiche, digestive, colagoghe, febbrifughe, mentre per uso esterno agiscono come buon cicatrizzante e sono in grado di curare eczemi, piaghe e ulcere. I principi attivi sono dati da sostanze amare di natura glucosidica, quali la centaurina e l’eritrocentaurina, e inoltre da acido oleanolico e da alcuni alcaloidi, tra cui l’eritricina.

Sono pure presenti gomme, resine, zuccheri. La centaurea minore è indicata per riattivare le secrezioni digestive nei casi di acidità di stomaco. Ne viene preparato un estratto che entra nella composizione di tinture, pozioni stomachiche, sciroppi e un vino aperitivo. Date le sue notevoli proprietà amare, la centaurea trova largo impiego in liquoreria. È pure usata come febbrifugo, forse il miglior succedaneo del chinino nei casi di malaria.

Melissa

Anche chi non si interessa di botanica avrà sentito parlare della melissa o cedronella (Melissa officinali}, una labiata della regione mediterranea. Melissa è termine di origine greca che indica la pianta e contemporaneamente anche l’ape, insetto assai avido del nettare dei suoi fiori. Coltivata dagli arabi in Spagna, la melissa aveva anche un posto di primo piano nelle antiche farmacopee e nei ricettati soprattutto italiani, e entrava nelle composizioni aromatiche preparate da frati e monaci. La droga è costituita dall’erba fiorita o dalle foglie che vanno raccolte prima della fioritura.

I principi attivi che contiene, tra cui un olio essenziale, le conferiscono proprietà stomachiche, diaforetiche, ma soprattutto antispasmodiche e sedative; va quindi impiegata, sotto forma di infuso, nei casi di digestione difficile, nei crampi di stomaco di origine nervosa, nei casi di vomito e insonnia.

#Pepe_Zafferano_Zenzero_Cannella

Pepe

II pepe (Piper nigrum), della famiglia delle Piperacee, è un arbusto rampicante munito di tralci lunghi fino a 10-15 m e di foglie sempreverdi.
Originario dell’India, è coltivato anche in altri paesi tropicali.
La droga è data dai frutti, considerati da taluni bacche monosperme, da altri drupe. In commercio si trovano sia il “pepe nero” che il “pepe bianco”.

Il primo ci è dato dai frutti raccolti ancora immaturi. Il pericarpo, essiccando, aggrinzisce e assume il colore nero. Il pepe bianco si ottiene invece raccogliendo i frutti maturi, di colore rosso, e facendoli poi fermentare in mucchi o macerare nell’acqua. Sfregandoli dopo alcuni giorni si determina il distacco della parte carnosa, sicché il pepe bianco è il seme del pepe.

I frutti contengono un principio resinoso, di sapore acre e pungente, localizzato principalmente nel pericarpo (e del quale è ricco soprattutto il pepe nero), gli alcaloidi piperina e cavicina, e un olio essenziale. A piccole dosi il pepe è dotato di proprietà toniche e stimolanti della digestione, ma il suo uso principale è quello di aromatizzante culinario.

Zafferano

Lo zafferano (Crocus sativus) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Iridacee. Originario della regione mediterranea orientale e probabilmente derivato per coltivazione da altre forme spontanee affini, oggi è coltivato soprattutto in Spagna, Francia, Persia, Afghanistan, India, Cina e, nel nostro paese, nei dintorni dell’Aquila negli Abruzzi. Fiorisce in autunno. La droga è data – uno dei pochi casi in tutto il mondo vegetale – da stilo e stimmi.

Lo zafferano era noto come pianta medicinale già agli antichi egizi. Ippocrate, Teofrasto e Galeno gli attribuivano varie proprietà, medicinali e condimentarie, ma furono soprattutto gli arabi e i crociati che lo introdussero in Europa. Lo zafferano esplica azione eupeptica e stimolante gastrica; è usato inoltre come sedativo (entra nella composizione del laudano), carminativo e emmenagogo.

Zenzero

Lo zenzero (Zingiber officinale) è una pianta erbacea perenne sconosciuta allo stato spontaneo e coltivata estesamente nelle regioni tropicali in Asia, Africa ed America. Appartiene alla famiglia delle Zingiberacee.
Lo zenzero è il “gengiovo” del Boccaccio e del Mattioli che così lo descriveva: « ha facoltà di scaldare e digerire… muove leggermente il corpo… è utile allo stomaco, vale a tutti gli impedimenti e mettesi negli antidoti ». Lo zenzero è dotato di proprietà stimolanti delle funzioni digestive; esternamente esplica una leggera azione revulsiva.

Cannella

La cannella, o cannella-regina (Cinnamomum zeylanicum) è un albero di media taglia della famiglia delle Lauracee, originario di Ceylon e coltivato anche in altri paesi tropicali (Giava, Brasile, Giamaica, Martinica). Trattando la corteccia con particolari tecniche colturali si favorisce l’emissione di numerosi giovani polloni dai quali
si ottiene la droga. La cannella è dotata di proprietà stimolanti generali e in particolare dei processi digestivi. Vasto è il suo impiego nella tecnica galenica, in cucina, pasticceria e liquoreria.

Timo Cren Senape bianca

Timo

Dal verbo greco tbio, odoro, si fa derivare l’etimologia del timo (Tbymus vulgaris). La pianta infatti, un piccolo arbusto delle Labiate, con diffusione limitata al Mediterraneo occidentale, ha un odore forte e aromatico e un sapore pungente. A scopo medicinale era già impiegato fin dall’antichità, come testimoniano Dioscoride e Teofrasto.

Dimenticato nel medioevo, soltanto nel XVI secolo il timo ritornò a infoltire la numerosa schiera delle piante officinali. Ogni parte della pianta, specialmente i rami laterali raccolti all’epoca della fioritura, costituisce la droga che per la sua azione tonica non solo viene usata come condimento in casi di anemia, ma anche, sotto forma di infuso o di tintura, come stimolante, antispasmodico, anticatarrale ebechico. E dotata pure di un’efficace azione antisettica ed anticarie. Dal timo viene pure estratta un’essenza utilizzata nell’industria dei liquori e in profumeria.

Cren

Di Nasturtium armoracia, il cren, o barbaforte, o rafano – crocifera originaria dell’Europa centro-orientale e altrove naturalizzata – è piuttosto originale l’etimologia specialmente per quel che riguarda il termine generico: questo infatti deriva dalla fusione di due vocaboli latini, cioè nasus e tortus: il tutto per dire che si tratta di una pianta che per il suo odore bruciante fa torcere il naso. In quanto al termine specifico armoracia, anch’esso è di derivazione latina, significando la Bretagna, l’antica Armoracia, regione nella quale si coltivava il cren.

Proprietà medicinali sono presenti nella radice che tagliata a pezzi emana un debole odore e che diventa pungente quando viene schiacciata o grattugiata. I principi attivi fondamentali sono dati da un olio essenziale, da asparagina, da glutamina, da glucidi quali il saccarosio, il fruttosio e il glucosio, e dalle vitamine B1 e C.

La droga viene usata nelle affezioni bronco-polmonari e delle vie urinarie, come antiscorbutico, depurativo del sangue e in modo particolare come stimolante la secrezione gastrica. Proprio per quest’ultima proprietà, cui si deve aggiungere anche quella eupeptica,
piccole dosi di cren grattugiato e condito con aceto sono utilizzate in cucina per preparare una salsa aromatizzante. Non va comunque dimenticato che la radice pestata ed applicata direttamente sulla pelle agisce come buon revulsivo e vescicante in casi di ascessi.

Senape bianca

Attivatori della secrezione gastrica possono essere considerati anche i semi della senape bianca (Sinapis alba) e la farina che da essi si ricava. I semi vanno raccolti in piena estate quando la pianta comincia ad ingiallire. La ben nota salsa da tavola che si prepara con la loro farina agisce direttamente sulla mucosa gastrica aumentandone la secrezione. La medicina popolare talora propone i semi di senape ingeriti interi come lassativi; tuttavia tale impiego trova con l’andar del tempo sempre minor credito.

Genziane

Delle numerose specie di genziane, appartenenti alla famiglia delle Genzianacee, rivestono particolare interesse in farmacologia ed erboristeria le cosiddette genziane maggiori, e cioè la lutea e altre, esplicitamente ammesse o no, tra cui Gentiana punctata, Gentìana purpurea e Gentiana pannonica. Sotto il nome di genziane minori sono comprese invece Gentiana asclepiadea e Gentiana cruciata, mentre la ben nota Gentiana acaulis va sotto il nome italiano di genzianella.

La più importante tra le genziane maggiori – il cui etimo generico deriva, come sembra, dal nome del re dell’Illiria Genzio che ne avrebbe scoperte le proprietà – è indubbiamente la genziana gialla, Gentiana lutea. Questa bellissima specie è presente nei pascoli montani, su suolo calcareo, dell’Europa centro-meridionale. Nel nostro paese è reperibile in certe vallate alpine, qua e là sugli Appennini e in Sardegna sul Gennargentu.

La droga è data da rizomi e radici – Gentianae radix – che vanno raccolti in autunno o in primavera. Essi contengono numerosi glucosidi – genziopicrina, genziomarina, genziocaulina, amarogentina – e i pigmenti xantonici genziina, gentisina, isogentisina; l’alcaloide genzianina e zuccheri tra i quali, esclusivi del genere, genzianosio e genziobiosio. Sono inoltre presenti altri zuccheri – saccarosio, maltosio, levulosio, arabinosio, xilosio – amido, galattano, inulina.

La genziana esplica un’azione tipicamente amaro-tonica e eupeptica: è nota e largamente usata da gran tempo per favorire la secrezione gastrica e quindi la digestione. Entra anche nella composizione di numerosi aperitivi e pozioni per la terapia della mancanza di appetito, dispepsie e iposucorrea. In aggiunta a composti di ferro e ad altri ricostituenti è usata nella cura delle clorosi, linfatismo, anemia e negli stati di convalescenza e di esaurimento fisico. È assai usata pure in liquoreria e nell’industria dolciaria. A chi voglia farsi da solo un amaro di genziana, attenzione: a prima vista potrebbe essere confusa con il velenoso veratro (vedi).

Un altro uso della genziana, meno noto ma molto antico nella medicina popolare, è quello antimalarico. Specifiche ricerche hanno dimostrato che un suo componente, la genziopicrina, è effettivamente dotato di proprietà antifebbrili e antimalariche. A piccole dosi la genziana esplica anche un’azione eccitante sul sistema nervoso centrale, mentre a più alte dosi risulta depressiva e perfino paralizzante. Per completare il discorso due parole di carattere soprattutto fitogeografico sulle altre Gentiana.

Tra le maggiori, Gentiana punctata, di taglia più piccola della lutea e a corolla gialla picchiettata di violaceo, è presente sulle Alpi e talvolta commista con la lutea con la quale anche si ibrida.
Molto più rara è invece Gentiana purpurea, reperibile sulle Alpi e sugli Appennini su terreni silicei.
Gentiana pannonica è reperibile sulle Alpi orientali.

Tra le minori, Gentiana asclepiadea (Europa centro-meridionale; Caucaso) è presente sulle Alpi e sugli Appennini nei boschi e nelle radure. È assai caratteristica per i suoi lunghi “tralci” fioriferi mollemente ricadenti.
Gentiana cruciata (Europa centrale; Asia occidentale) è presente in pascoli e boschi in Istria, Colli Euganei, Alpi ed Appennini fino alla Campania. Gentiana acaulis, la genzianella, specie dell’Europa centrale e meridionale, è presente da noi in prati e pascoli montani. Se ne distinguono alcune varietà tra le quali la kochiana (Alpi, Apuane, Appennino fino alla Majella) e la clusii (Alpi, Apuane, Appennino ligure e pavese).

Rabarbaro Alloro

Rabarbaro

II rabarbaro o, più specificatamente, il rabarbaro “chinese” (Rheum palmatum) è una grande pianta erbacea perenne originaria del Tibet e della Cina nord-occidentale e talora coltivato anche in Europa in zone a clima umido e fresco e su terreno fertile e profondo.
Appartiene alla famiglia delle Poligonacee.
Nella grande confusione terminologica che si faceva con i vecchi termini “chinese”, “persiano”, “russo”, “turco” e che indicavano semplicemente, da un punto di vista merceologico, la provenienza, si può aggiungere e insinuare anche il dubbio se il vero rabarbaro sia fornito anche da Rheum officinale.

Di Rheum palmatum si coltivano inoltre la forma tipica, derivata da semi introdotti nel ‘700, e due razze che prendono il nome dai loro importatori, Przewalsky (1872) a foglie incise meno profondamente che non nella forma tipica, e Tafel (1906) a foglie, invece, più profondamente incise che nella forma tipica e ritenuto da taluni autori una specie a sé stante (Rheum tangutkum).

Sotto il nome di rapontico si intende poi Rheum rhaponticum, originario dell’Asia centrale e coltivato in parecchi paesi dell’Europa centrale – Francia, Svizzera, Austria – e in Inghilterra. Fornisce un prodotto meno pregiato (“rabarbaro rapontico”, o “rabarbaro francese”) e i piccioli delle foglie vengono usati in cucina alla stregua degli asparagi. Tornando al rabarbaro “chinese”, diremo che la droga è data dal rizoma. Contiene composti antracenici – crisofanina, crisofanolo, alizarina, emodina, isoemodina, reocrisina e altri ancora – tannino, acido gallico, resine, sterine, acidi organici, olio essenziale e molte altre sostanze.

L’uso del rabarbaro nei paesi di origine è certamente molto antico: documenti scritti sulla sua efficacia risalgono a due millenni prima di Cristo. In Europa il rabarbaro pare fosse noto anche ai romani, ma la sua origine rimase a lungo ignota. Il rabarbaro esplica numerose e varie azioni.

A piccole dosi agisce come stomachico e amaro-tonico; a dosi medie come lassativo; a dosi maggiori, analogamente alle altre droghe a contenuti antracenici (aloè, frangola, spino cervino), come purgante.
Viene anche ampiamente usato nella tecnica galenica come amaro aromatico -e in liquoreria entra in una vasta gamma di liquori, amari ed aperitivi.

Alloro

L’alloro, o lauro (Laurus nobilis), appartenente alla famiglia delle Lauracee, è un arbusto, o più raramente un albero anche di notevoli dimensioni (fino a 15-20 m), a foglie sempreverdi, spontaneo in macchie e boschetti della regione mediterranea. Nel nostro paese è presente qua e là lungo le coste e con esemplari colossali nel bosco di Policoro, in Lucania.

Sfugge facilmente, inoltre, dagli orti e dai giardini, ove è spesso coltivato. La droga è data dalle foglie e dai frutti. Le foglie contengono olio essenziale ricco di cineolo, geraniolo, eugenolo, terpeni, acidi organici, sostanze amare, tannini. Oltre che in cucina come aromatico, le foglie di alloro si usano, in infuso o in decotto, come stimolanti in generale e della secrezione gastrica in particolare, e inoltre come sudorifero e carminativo. I frutti sono drupe ricche
di olio essenziale, grassi, tannino. Vengono usate esse pure come stimolanti (bagni) ma soprattutto per l’estrazione del cosiddetto olio o burro di alloro che entra con altre sostanze nella composizione dell’unguento laurino usato nella medicina popolare contro le affezioni reumatiche e gottose.

Aloe Limone Peperoncino rosso

Aloe

Sotto la denominazione farmacologica di aloe vengono indicati vari prodotti ottenuti con procedimenti diversi dal succo fogliare di diverse specie del genere Aloe della famiglia delle Liliacee. Si tratta di caratteristiche piante “grasse” perenni, a crassulenza fogliare – e pertanto talora grossolanamente confuse con le Agave – e che possono anche assumere, in talune specie, un portamento arboreo.

Le principali specie che interessano dal punto di vista erboristico sono Aloe vera (o Aloe vulgaris, o Aloe barbadensis), originaria del Nordafrica e talora naturalizzata, oltre che coltivata, nelle regioni meridionali del nostro paese; Aloè socotrina, di Socotra, coste del Mar Rosso e isole dell’Oceano indiano; Aloe perryi, a distribuzione analoga; Aloe ferox, della regione del Capo; Aloe abyssinica, dell’Eritrea, e altre ancora. La droga è data dal succo condensato ed essiccato delle foglie e comunemente si distingue un “aloe lucido” a frattura vetrosa, da un “aloe epatico” a frattura ceroide.

Contiene numerosi composti antracenici (aloina e barbaloina, aloemodina, crisofanolo, isochinolina), olio essenziale e resine. A piccole dosi l’aloè esplica un’azione amaro-tonica, eupeptica e colagoga; a dosi maggiori è lassativa con la controindicazione, tuttavia, della possibilità di assuefazione da parte del paziente. Per uso esterno è stata usata nella cura di dermatiti e ulcerazioni della pelle. È dotata anche di attività batteriostatica.

Limone

Il limone (Citrus medica var. limon, o Citrus limonum), appartenente alla famiglia delle Rutacee-Auranzioidee, è un piccolo albero sempreverde originario dell’India e della Cina e ampiamente coltivato nella regione mediterranea, in California, in Argentina. Nel nostro paese è coltivato nelle regioni meridionali e anche al nord intorno ai grandi laghi e in Liguria. La droga è data dalla parte colorata della scorza del frutto, il cosiddetto “flavedo”.

Il limone, oltre alle ben note proprietà antiscorbutiche e antiinfettive generali derivantigli dalla ricchezza in vitamina C del succo, esplica numerose altre e interessanti azioni: come depressivo sul sistema nervoso centrale; come antibatterico e disinfettante con interessanti applicazioni nella preparazione del campo operatorio e in dermatologia nella cura di alcune affezioni della pelle; come revulsivo; come ipo o iperglicemizzante, come amaro-aromatico, tonico ed eupeptico e, nella tecnica galenica, come correttivo.

Peperoncino rosso

Il peperoncino rosso, o capsico (Capsicum minimum) è un piccolo arboscello, perenne in condizioni climatiche adatte, ma coltivato più spesso alla stregua di annuale, originario delle regioni intertropicali. Altri “peperoncini” ci sono dati da alcune varietà di Capsicum annuum, il comune peperone, e cioè la varietà szegedinense, che fornisce la ben nota paprika, o di Capsicum frutescens. Appartengono tutti alla famiglia delle Solanacee. La droga è data dai frutti.

Contengono i carotinoidi capsantina, capsorubina, zeaxantina, luteina, le vitamine C, 62 ed E, acidi organici, olio essenziale e la capsaicina. Il peperoncino rosso esplica localmente un’azione rubefacente
indiretta e, per via orale, azione eupeptica. L’uso culinario come condimento è infatti estesissimo. Viene usato anche sotto forma di pomate come revulsivo per la cura dei geloni, nevralgie e reumatismo articolare.

Rosmarino Boldo Carciofo

Rosmarino

Si fa derivare l’etimologia del termine rosmarino da ros maris, cioè rugiada marina, una simpatica espressione per indicare quell’abbondante umidità tipica dei luoghi prossimi al mare. Tale habitat sembra particolarmente gradito al rosmarino (Rosmarinus offìcinalis), labiata a diffusione tipicamente mediterranea, ma che allo stato di coltura si può rinvenire in luoghi anche lontani dal suo tipico areale. Gli antichi conoscevano questa pianta, tanto è vero che ne intrecciavano corone con il mirto e con l’alloro e la impiegavano anche nelle feste erotiche per il suo profumo aromatico un po’ canforato.

Le vennero in seguito attribuite numerose proprietà, trovò molteplici applicazioni da parte dei medici arabi, fu iscritta nei “capitolari” di Carlo Magno ed entrò a far parte della medicina popolare fin dal medioevo. Oggi il rosmarino gode fama di specie con proprietà toniche, coleretiche, eupeptiche, carminative, emmenagoghe e in genere modificatrici della secrezione bronchiale.
La sua azione è particolarmente efficace nella cura di dispepsie e gastralgie.
La parte usata della pianta è costituita dalle foglie che vengono raccolte durante la fioritura, ma specialmente in primavera, con o senza rametti. Non va comunque dimenticato l’uso alimentare come aromatizzante e il suo impiego nell’industria dei profumi.

Boldo

Studi a livello farmacologico sul boldo (Peumus boldus) furono intrapresi solamente un secolo fa e misero in evidenza un’azione, quella di aumentare l’eliminazione dell’urea, che, pur essendo ritenuta valida ancor oggi, non è certamente la più importante. Attualmente infatti la droga che si ricava da questa pianta, e precisamente dalle foglie che devono venir raccolte in autunno, agisce come un buon colagogo e per questo trova largo impiego nella cura di malattie epatiche e nella calcolosi; tuttavia non va neppure taciuto l’uso del boldo come tonico-digestivo.

Questa specie cresce allo stato spontaneo nell’America meridionale, in modo particolare nel Cile e nel Perù, da dove è stata importata anche in Europa; qui ha trovato una buona acclimatazione nelle zone aride del Mediterraneo.

Carciofo

Già i romani conoscevano i carciofi, non solo per le proprietà terapeutiche, ma anche, forse ancor più, per quelle alimentari. Cynara scolymus, il carciofo, deve la sua etimologia in parte alla consuetudine di concimare questa pianta con la cenere, in parte al termine greco scols, cioè spina, elemento presente nelle brattee – e non foglie – involucrali che circondano il capolino e che costituiscono la tipica parte commestibile.

Sono invece le foglie caulinari dal sapore amaro che hanno in sé principi
attivi per alcune ben precise azioni farmacologiche. Il carciofo infatti possiede proprietà colagoghe, epato-protettive, toniche, stomachiche, diuretiche e ipoglicemizzanti; pertanto i suoi preparati, succhi, decotti, estratti fluidi o tinture che siano, possono trovar impiego in tutti i casi in cui si renda necessario stimolare la coleresi e le funzioni antitossiche del fegato, la diuresi, nell’albuminuria, nelle anurie e nell’arteriosclerosi.

Somministrato parenteralmente, il carciofo trova anche applicazione in dermatologia per debellare forme di prurito infantile, orticaria ed eczemi.

Aglio Salvia Salvia sclarea

#Aglio

II termine aglio – attribuito al comunissimo Allium sativum abbondantemente coltivato nelle nostre regioni come aromatizzante dei cibi – deriverebbe, secondo l’interpretazione di Sweet, dal celtico ali, cioè bruciante, con riferimento al sapore del bulbo. Più controversa è la determinazione del luogo d’origine: Linneo propose la Sicilia, Kunth l’Egitto; De Candolle sostenne che allo stato spontaneo era stato rinvenuto unicamente nel deserto dei Kirghisi, mentre Wallich dichiarò di averlo trovato in India. Di sicuro si può affermare che l’aglio era usato fin dai tempi più antichi sia come alimento sia come pianta della medicina popolare.

Gli egiziani, i greci e i romani lo coltivavano copiosamente e ne apprezzavano le virtù terapeutiche. Dioscoride e Plinio ne esaltavano l’azione tonica, diuretica, antiasmatica e vermifuga, mentre nel medioevo l’aglio aveva addirittura acquistato fama di rimedio contro la sordità. È interessante notare che le applicazioni e gli usi di un tempo hanno trovato oggi in gran parte conferma, confortata da studi farmacologici e sperimentazioni cliniche.

La droga di questa liliacea è contenuta nel bulbo, o meglio ancora nei bulbilli, ossia gli spicchi in cui è suddiviso: essi sono composti da due terzi d’acqua, da sostanze azotate, da pochi lipidi e ceneri e da quasi un terzo di glucidi. I principi attivi sono dati da un olio essenziale e da composti solforati. L’aglio esercita un’azione stimolante, digestiva, eupeptica, vermifuga; favorisce la secrezione bronchiale e agisce come vasodilatatore, per cui alcuni preparati trovano applicazioni nelle bronchiti asmatiche e nell’arteriosclerosi. Per uso esterno è considerato un buon rubefacente e vescicatorio.

Salvia

La salvia (Salvia officinali^), appartenente alla famiglia delle Labiate, deve il suo nome al latino salvere, cioè guarire: quanto basta per testimoniarci la considerazione in cui era tenuta nell’antichità.
Anche nel medioevo la salvia godette buona fortuna, e i “capitolari” di Carlo Magno ne consigliavano la coltivazione, contribuendo con ciò a diffonderla nell’Europa centrale e settentrionale.

Infatti essa è specie a tipica diffusione europea meridionale, ma con particolari accorgimenti è possibilecoltivarla anche in regioni fuori del suo areale naturale. La droga è costituita dalle foglie, per le quali si raccomanda la raccolta alla fine della primavera prima della completa schiusura dei fiori.

Le foglie hanno odore gradevole e sapore amarognolo aromatico.
Oltre ad essere usata in cucina come condimento, eupeptico e aromatizzante, la salvia agisce come stimolante nelle dispepsie e atonie gastro-intestinali e esercita pure un’azione ipoglicemizzante, emmenagoga, diuretica, colagoga, vulneraria, nonché astringente e antisettica. Per quest’ultima proprietà trova applicazione nelle infezioni del cavo orale e nelle emorragie gengivarie.

Salvia sclarea

Quanto detto per la salvia vale anche per la salvia sclarea (Salvia sclarea}, labiata dell’Europa meridionale e dell’Asia sud-occidentale. La droga è costituita dalle sommità fiorite da cui si ricava un’essenza usata in profumeria e in distilleria. La salvia sclarea, oltre a essere usata come condimento e per aromatizzare vini e liquori, è impiegata pure per le sue proprietà stomachiche, antisudorali e emmenagoghe.

Salvia pratense Canapa acquatica Felce dolce
Salvia pratense
Proprietà analoghe a Salvia officinali! e a Salvia sclarea (vedi) possiedono le foglie della salvia pratense (Salvia pratensis). Di questa labiata in terapia vengono sfruttati i principi attivi in preparati validi per curare un’eccessiva secrezione sudorifera ed assai efficaci in particolari periodi critici per l’organismo, quali la pubertà e la menopausa. Sono pure apprezzate le qualità amaro-toniche di questa pianta, in modo particolare da individui colpiti da atonia o soggetti a periodici stati depressivi.

Canapa acquatica

11 re Mitridate Eupator sembra sia la fonte alla quale si sono ispirati i botanici del XVIII secolo quando si trattò di dare un nome al genere Eupatorium, al quale appartiene anche la specie cannabinum, più familiare col nome di canapa acquatica, o eupatoria di Avicenna. Si tratta di una composita abbastanza comune, diffusa nel Vecchio Mondo ed in Australia. Questa pianta attualmente, dal punto di vista medicinale, non ha un grande interesse ed è poco o nulla richiesta; nel passato invece
godette di una certa popolarità presso i greci, i romani e i medici del medioevo.

Si può ritenere che tutta la pianta costituisca la droga: dev’essere raccolta al momento della fioritura, ripulita dei fusti più legnosi e utilizzata se non allo stato fresco in un tempo relativamente breve. In caso contrario la sua attività si riduce notevolmente. La radice della canapa acquatica possiede proprietà colagoghe, lassative, mentre le foglie mettono in evidenza maggiormente quelle amaro-toniche, diuretiche e diaforetiche. La droga agisce sulla bile in modo particolare, incrementandone la secrezione e riuscendo così efficace nei casi di costipazione per insufficienza ghiandolare e di congestioni e malattie sia del fegato che della milza.

Felce dolce

La felce dolce, o liquirizia selvatica (Polypodium vulgaré) è una simpatica felce molto comune nelle regioni temperate dell’Eurasia e dell’Africa.
Polypodium è termine di derivazione greca e significa “molti piedi”, con allusione ai numerosi moncherini, se così si può dire, che rappresentano i resti delle vecchie foglie sul rizoma della pianta.

L’aggettivo italiano con il quale siamo soliti indicare questa felce si riallaccia invece al sapore dolciastro del rizoma, che ricorda vagamente quello della liquirizia. È proprio anzi il rizoma che costituisce la parte farmacologicamente attiva del Polypodium; va raccolto nell’estate e deve essere liberato delle sottilissime squame color bruno (palee) che nascondono quei “moncherini” a cui si accennava precedentemente.

Quando arriva in commercio ben pulito il sapore è già di gran lunga meno dolce, anzi dopo una breve masticazione diventa amarognolo e nauseabondo. I principi attivi contenuti esplicano azione purgativa e colagoga; per questo motivo la droga sotto forma di tisana, di estratto fluido o altro può essere somministrata con buoni risultati a pazienti itterici o a coloro che sono sofferenti di stitichezza cronica aggravata da insufficienza della funzione epatica. Così afferma il celebre Ledere, che nega al Polypodium qualsiasi effetto drastico ed un’azione diretta sull’intestino.

Tarassaco Cicoria

Pianta generalmente inquadrata nella folta schiera di quelle alimentari, il tarassaco (Taraxacum officinale) non può essere passato sotto silenzio quale specie con proprietà terapeutiche conosciute da moltissimi anni e sperimentate a lungo soprattutto nella medicina popolare.

Proprio il suo uso a livello familiare ha contribuito in maniera determinante ad arricchire di nomi il già lungo elenco di appellativi con i quali viene indicata or qua or là questa composita. Ne citiamo alcuni: soffione, dente di leone, piscialetto, quest’ultimo invero assai azzeccato con evidente allusione alle proprietà diuretiche della pianta.

Il tarassaco oggi è naturalizzato praticamente in tutte le regioni temperate e fredde del globo, anche se originariamente la sua area di diffusione era limitata all’Europa, all’Asia centrale e settentrionale, all’Africa e all’America boreale.

In Francia, specialmente nel secolo scorso, il tarassaco ebbe un momento di grande celebrità, tanto che ne vennero selezionate varie forme migliorate. Se dal punto di vista alimentare il tarassaco non è molto pregiato – basso contenuto di sostanze proteiche e di glucidi ed assenza completa di grassi – da quello officinale o medicinale che dir si voglia assurge ad una certa importanza per le sue proprietà amaro-toniche, diuretiche, colagoghe ed epato-protettive.

La droga è costituita dalle radici e dal succo delle foglie fresche; la radice dev’essere raccolta in autunno, lavata, fatta seccare a circa 30° e quindi conservata all’asciutto. Generalmente in commercio si trova intera o tagliata per il lungo o sezionata in fettine molto sottili. I principi attivi contenuti nella radice sono dati da inulina, tannino, zuccheri, un succo lattiginoso formato tra l’altro da tarassacina, sostanze cerose e resine, ed inoltre da colina e mucillagine; nelle foglie oltre a tarassacina sono presenti una certa quantità di inosite, mucillagine, zuccheri e sostanze resinose.

Per le sue proprietà farmaceutiche il tarassaco è impiegato nelle terapie dell’insufficienza epatica, nelle gastriti, nelle malattie renali e colecistiti, nelle dispepsie; inoltre viene usato come amaro-tonico e depurativo. Per uso esterno trova applicazione contro ulcere ed eczemi.

La cicoria

(Cichorium intybus), una composita dell’Eurasia e dell’Africa settentrionale, naturalizzata altrove, era già conosciuta all’epoca di Plinio che oltre ad apprezzarne le virtù alimentari, del resto ben note anche oggi, ne conosceva le ottime qualità depurative. A queste, un po’ per merito delle tradizioni ed esperienze popolari accumulate nel tempo e molto più per merito degli studi e delle ricerche compiute in campo farmacologico, vanno aggiunte anche quelle amaro-toniche, stomachiche, colagoghe, lassative ed infine, solo rispettando un ordine cronologico, quelle ipoglicemizzanti.

La droga è costituita dalle foglie, che devono venir raccolte all’inizio della fioritura, e dalle radici, la cui raccolta va effettuata verso la fine dell’autunno. Le prime contengono la cicoriina, inulina, colina e levulosio, le seconde terpeni, derivati terpenici, gomma e grassi.

La cicoria viene impiegata per combattere l’atonia gastrica e l’insufficienza biliare, mentre si rivela un prezioso rimedio in casi di affezioni cutanee croniche. Per uso esterno inoltre, mediante applicazione delle foglie, è ottima per curare foruncoli e ascessi.

– Melanzana Trifoglio fibrino Stecca di vaniglia _

Melanzana

La melanzana (Solarium melongena), appartenente alla famiglia delle Solanacee, è una pianta erbacea originaria dell’India e comunemente coltivata nelle regioni calde per i suoi frutti largamente impiegati in cucina.

La droga è data appunto dai frutti, grosse bacche di forma e colore diverso nelle diverse cultivars, che contengono composti caffeici cinarinosimili, cioè presenti anche nel carciofo, come gli acidi caffeico e clorogenico, il glucoalcaloide solasonina, vitamine, antociani e numerose altre sostanze. Se l’uso alimentare della melanzana è noto da tempi antichissimi, le conoscenze sui suoi poteri farmacologici sono molto recenti, risalendo agli anni ’40.

La melanzana esplica azioni molto simili a quelle del carciofo: colagoga, coleretica e epatoprotettiva, nonché azione depressiva del tasso colesterinico del sangue e diuretica.

Il trifoglio fibrino

(Menyantbes trifoliata) è una pianta erbacea perenne diffusa nell’emisfero boreale nei luoghi palustri. Nel nostro paese è reperibile soprattutto nelle regioni settentrionali specialmente in paludi o in laghetti montani in via di interramento; più rara nell’Italia centrale e meridionale, ove è limitata alla catena appenninica.
Appartiene alla famiglia omonima o, secondo altri autori, alla famiglia delle Genzianacee, tribù Meniantee.

La droga è data dalle foglie raccolte all’epoca della fioritura. Già gli antichi autori classici conoscevano il trifoglio fibrino come pianta medicinale per gli usi più diversi. Nel XVII secolo gli furono attribuite le proprietà più svariate: era ritenuto antiscorbutico, efficace nella cura dell’idropisia, delle affezioni catarrali, di svariati malanni ginecologici, delle ulcerazioni, della scabbia.

Dagli inizi del nostro secolo gli vengono riconosciute proprietà stimolanti dell’appetito e della digestione, collegate, si ritiene, a un miglioramento della funzione epatica. Questa azione è dovuta alla presenza nelle foglie di sostanze cinarinosimili, come gli acidi caffeico e clorogenico.
Anche l’azione antiscorbutica anticamente attribuita al trifoglio fibrino ha trovato recente conferma nell’indagine clinica.

La vaniglia (Vantila planifolià), appartenente alla famiglia delle Orchidacee, è una pianta erbacea epifita originaria del Messico e dell’America tropicale – Colombia, Venezuela, Andile, Centro-America – ed estesamente coltivata anche a Ceylon, Giava, Madagascar, Seychelles.

La droga è data dai frutti, capsule lunghe e sottili, di colore nero lucente, detti nel gergo erboristico “stecche” o, impropriamente, “baccelli”.
I frutti freschi, che vanno raccolti ancora immaturi, non sono profumati, ma dopo particolari trattamenti, atti a favorire lo svolgimento principi profumati, si ottengono i frutti, quali si trovano in commercio, di colore nero lucente e ricoperti di minuscoli cristalli di vaniglina.

La vaniglia è stata introdotta in Europa dopo la scoperta dell’America, e dalla Spagna il suo uso si è diffuso verso la Francia, l’Inghilterra e gli altri paesi europei. Oltre che come aromatizzante in pasticceria e in liquoreria, e come correttivo nella tecnica galenica, la vaniglia è usata per le sue proprietà stimolanti e coleretiche nella terapia dell’inappetenza e dell’atonia gastro-intestinale. Ad alte dosi risulta tossica.

Arancio amaro Angelica Amarena Lampone

L’arancio amaro

(Citrus aurantium var. bigaradià) è un albero della famiglia delle Rutacee probabilmente originario dell’Assam, della Birmania e dell’India peninsulare. Pur non essendo commestibile – il frutto ha polpa acida e amarissima – l’arancio amaro viene utilizzato in tutte le sue parti per molteplici usi: la droga infatti è data dalle foglie, dai fiori, dai frutti preferibilmente di piccole dimensioni e dal pericarpo, cioè dalla scorza, di frutti pressoché maturi.

In profumeria sono conosciute l’essenza di néroli, data dai fiori, e l’essenza di petit-grain, data o dai piccoli frutti, o dai rametti e dalle foglie raccolte al tempo della potatura. In farmacologia le foglie e i fiori, ma soprattutto la scorza, vengono utilizzati come amaro-tonici, con proprietà stomachiche e eupeptiche, efficaci in casi di inappetenza e dispepsia, e come correttivi di sapori e odori sgradevoli di particolari medicine.

Angelica archangelica

Tutte le parti dell’angelica, Angelica archangelica delle Ombrellifere, emanano un profumo assai gradevole, aromatico, quasi canforato. Vengono di solito utilizzate le radici del primo anno e più ancora i frutti che comunemente sono ritenuti semi. Con le radici può essere preparato un infuso con proprietà terapeutiche amaro-toniche, diaforetiche, carminative e leggermente diuretiche.

Di più largo consumo è invece l’”essenza di angelica”, cioè un olio essenziale che si estrae sia dai frutti che dalle radici. Tale essenza è assai usata in liquoreria, ad esempio in liquori come la Strega e la Chartreuse, in profumeria per preparare profumi soprattutto di tipo maschile e in cosmetica per aromatizzare i dentifrici.

amarena

L’amarena fa parte di quel complesso di forme derivanti da Prunus cerasus caratterizzate da polpa acidula o acida in contrapposizione a quelle derivanti da Prunus avium a polpa più soda, dolce e che globalmente costituiscono le ciliegie.

L’amarena, pur non possedendo particolari doti terapeutiche, nell’industria farmaceutica viene usata largamente come edulcorante acidulo aromatico, correttivo insomma di alcuni prodotti come quelli a base di tetraciclina, di sulfamidici, di vitamine e negli sciroppi per la tosse.

Lampone

Il lampone (Rubus idaeus), una rosacea ad ampia diffusione eurasiatica, era probabilmente conosciuto molti secoli prima di Cristo, come testimoniano reperti fossili rinvenuti in palafitte svizzere.
Dall’Inghilterra, dove era largamente coltivato intorno alla metà del XVI secolo, il lampone venne introdotto negli Stati Uniti. Contrariamente a quello che capita altrove, in Italia il lampone non compare molto frequentemente nei mercati e nei negozi di frutta.

Eppure avrebbe molte qualità per essere apprezzato; possiede proprietà vitaminiche simili a quelle degli agrumi, ma di questi ha un più alto valore calorico; contiene sali, soprattutto di calcio, magnesio e ferro; ha un discreto potere lassativo e nello stesso tempo è un buon diuretico.
Nell’industria farmaceutica il lampone trova impiego, come l’amarena, quale edulcorante correttivo del sapore e dell’odore.

Menta Issopo Anice verde …

Menta

II genere Mentha è uno dei più complessi sistematicamente per la facilità con cui molte specie ad esso appartenenti variano e si incrociano: tra esse citiamo Mentha aquatica, Mentha viridis, Mentha Inngifolia e Mentha piperita, vale a dire la menta che viene maggiormente coltivata a scopo medicinale e industriale.

Mentha piperita è probabilmente un ibrido tra Mentha aquatica e Mentha viridis, ed è coltivata da lungo tempo soprattutto in Inghilterra, onde il nome di “menta inglese”. La menta in senso lato è pianta conosciuta da moltissimo tempo; era certamente coltivata dagli egiziani, mentre i giapponesi conoscono il mentolo da almeno duemila anni.

Si attribuivano ad essa notevoli proprietà terapeutiche già in epoca greco-romana: così per Ippocrate risultava un buon stomachico e diuretico; di essa inoltre ci parlano Dioscoride, Teofrasto, Plinio, Ovidio e altri autori; insieme a altre essenze medicinali Carlo Magno ne ordinava la coltivazione.

La vera menta piperita entrò in scena però soltanto nella seconda metà del XVIII secolo quando si diffuse dall’Inghilterra all’Europa continentale, all’America e al Giappone. I principi attivi sono contenuti nelle foglie o nell’erba intera. Più di ogni altro elemento, è fondamentale la presenza del mentolo la cui azione farmacologica si esplica sia stimolando i nervi, motori e di senso, sia agendo come sedativo ed antispasmodico.

La classica impressione di freddo che si manifesta mentre ad , esempio si consuma una caramella di menta, è dovuta al mentolo che procura alla parte con cui viene a contatto una leggera forma di anestesia locale. Nello stesso tempo, naturalmente a dosi più elevate, il mentolo causa un aumento della pressione sanguigna e del tono cardiaco. La menta piperita trova quindi applicazione per le sue proprietà analgesiche per curare nevralgie, dolori sciatici, carie dentarie, e per quelle antispasmodiche contro tossi e nei casi di disturbi digestivi e intestinali. Va pure segnalata un’azione colagoga e una tonica a livello intestinale.

Issopo

Per le sue proprietà stomachiche e stimolanti l’issopo (Hyssopus officinali!), una labiata a diffusione circum-mediterranea, ma con penetrazione fino all’Himalaja e alla Siberia, può essere avvicinato alle mente di cui si è parlato. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una pianta conosciuta da tempo remoto e alla quale si ricorreva in parecchie occasioni: presso i persiani, ad esempio, veniva usata un’acqua distillata di issopo che doveva in qualche modo rendere bello il colorito della pelle. Le foglie e le sommità fiorite costituiscono la droga che perlopiù viene impiegata per le sue virtù balsamiche e di risolvente delle affezioni bronchiali.

Anice verde

Accomunati per le loro proprietà possono essere l’anice verde (Pimpinella anisum) e il cardamomo (Elettaria cardamomum). Di entrambi vengono utilizzati i frutti che, a parte il loro impiego in liquoreria come aromatizzanti, trovano un discreto uso per i loro principi carminativi, sudoriferi, espettoranti, correttivi, aromatici e stimolanti.

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